2018·04·24 - CorFiorentino • Penta·F • «Ma adolescenza non vuol dire violenza»

«Ma adolescenza non vuol dire violenza»

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La psicologa
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Cambiamenti — In casi così gravi serve la valutazione da parte degli specialisti: una cura è sempre possibile
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di Francesca Penta [*]
Corriere Fiorentino — 24/02/2018 (martedì 24 aprile 2018)


L’episodio di violenza nella scuola di Lucca non è un caso isolato: sempre più frequentemente ci troviamo a scorrere articoli di cronaca in cui giovani studenti minacciano, offendono, aggrediscono i professori provocando loro, in alcuni casi, anche lesioni fisiche. È fondamentale, però, che non si unisca questi atti violenti all’idea di adolescenza. Per noi clinici, infatti, simili episodi, come ogni altra forma di violenza, non possono essere considerati espressione di una fase della vita e devono essere sempre valutati attentamente.

In alcuni di questi ragazzi, al di là del comportamento aggressivo manifesto, privo di umanità, ciò che va colto è il pensiero sotteso: un pensiero distorto, spesso completamente scisso dalla realtà affettiva e sempre piuttosto rigido, ovvero difficilmente modificabile. Il giovane spesso né entra in crisi né prova empatia nei confronti degli altri; non solo non percepisce la gravità del proprio gesto ma tende anzi, come spinto dalla fatuità, a sminuirla, a negare la violenza dell’episodio giustificandolo in quanto «scherzo». Ma né il comportamento manifesto né il pensiero di questi ragazzi violenti è quello dei loro coetanei adolescenti: è necessario sottolineare la differenza.

La «crisi evolutiva» dell’adolescente comporta, come suggerisce la parola, continue scelte e separazioni da vecchi modi di essere e percepire il mondo. La loro ricerca di un’identità nuova e le caratteristiche dell’età quali incostanza, repentini cambiamenti di umore, senso di onnipotenza, rendono spesso impegnativo il confronto con gli adolescenti. Anche negli scontri più difficili, tuttavia, non vi è mai violenza gratuita o sadismo. Se una certa rigidità nel pensiero fosse anche presente, questa, risulta essere momentanea, e, magari dopo il momento di rabbia si ritrova un rapporto basato su curiosità, interesse e affetto.

I provvedimenti disciplinari, per quanto dovuti, sono insufficienti se non talvolta controproducenti. Allontanare un ragazzo da scuola, sancire una bocciatura, iscriverli [sic!] sul registro degli indagati hanno l’inequivocabile valore sociale di rifiutare il comportamento violento, ma è assai dubbio che tali soluzioni possano evitare nuove violenze, o cambiare il modo di pensare e di sentire di questi giovani. Chi compie atti così violenti andrebbe sicuramente valutato anche da un punto di vista psichico, nella consapevolezza che la diagnosi non è un’etichetta, né una condanna, ma una speranza di cura e cambiamento. La responsabilità di tali gesti non può essere ricondotta a un fallimento educativo della scuola.

Dovremmo forse rivedere l’idea di formazione, ma soprattutto quella di essere umano che ne è alla base, perché tali comportamenti sono anche il frutto di false idee millenarie sulla natura umana. Questi giovani aderiscono ancora alla concezione di Hobbes dell’‹homo homini lupus›, che fonda la legge del più forte giustificando il sopruso sul più debole. Andando oltre la condanna del comportamento dovrà essere responsabilità dell’intera società promuovere una rivoluzione culturale che si opponga all’idea di una naturale violenza tra esseri umani. L’essere umano non è per nascita violento; è, al contrario, spinto da una naturale socialità, a cercare il rapporto con gli altri. Di fronte alla violenza di uno studente, compito degli adulti sarà sì quello di rifiutare e denunciare l’episodio, ma anche quello di consultare specialisti che valutino la necessità di un intervento per permettere al ragazzo di ritrovare i propri affetti, la propria realtà umana.

[*] Psicologa clinica e psicoterapeuta.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[A·3]• Nel testo originale: «Se una certa rigidità nel pensiero fosse anche presente, questa, [sic!] risulta essere momentanea, e, [sic!] magari dopo il momento di rabbia si ritrova […]», la disposizione delle virgole nella frase sembra problematica, forse a causa di un refuso; sarebbe preferibile «…fosse anche presente, questa risulta essere momentanea e, magari dopo il momento di rabbia, si ritrova…»; testo non modificato, giacché il senso è comunque chiaro.

•[A·4]• Nel testo originale: «Allontanare un ragazzo da scuola, […] iscriverli [sic!] sul registro […]», a rigore dovrebbe essere “iscriverlo”, visto che il complemento oggetto è “un ragazzo”; marcato con [sic!].

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