2018·08·12 - CorLettura • Bonazzi·M • Anassimandro batte Asterix

Anassimandro batte Asterix


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L’invenzione della Natura — Terremoti, eclissi, mareggiate e siccità sono lì a ricordarci la precarietà del tutto: come per i Galli dei fumetti, il timore è che il cielo possa sempre cadere. Ma così non sarà, aveva scoperto il filosofo di Mileto nel VI secolo a.C.
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Visioni — Anassimandro si era convinto che l’universo fosse in espansione, forse in conseguenza di una esplosione iniziale (il Big Bang?); e che gli uomini derivassero dai pesci (Darwin?)
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[A·0]
di Mauro Bonazzi
Corriere la Lettura — 12/08/2018 (domenica 12 agosto 2018)


[A·1]
Nascere — venire all’essere, diventare qualcosa — è una colpa che verrà pagata con la morte. Questo, secondo Friedrich Nietzsche, giovane filologo a Basilea ancora sensibile alle sirene di Schopenhauer, insegnava il primo testo filosofico giunto fino a noi, un breve frammento di Anassimandro di Mileto: «Principio di tutte le cose non è né l’acqua né nessun altro dei cosiddetti elementi, ma una certa altra natura infinita, da cui tutto diviene (…): da ciò da cui è la generazione delle cose che sono, lì è anche la distruzione secondo il dovuto: esse scontano infatti la pena e il fio dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo». Poche parole, al cui fascino è difficile sottrarsi. Per Martin Heidegger, influenzato a sua volta da Nietzsche, costituivano la prova del fatto che la filosofia è nata grande, capace di affrontare fin da subito i problemi più importanti. Perché c’è qualcosa invece di nulla? Questa è la questione fondamentale. Perché esistono gli alberi, il mare, noi, io? Anassimandro non aveva posto solo la domanda; aveva anche offerto una prima risposta.

C’è un principio primo, eterno, infinito, indistinto (chiamiamolo Dio; Anassimandro lo chiamava ‹apeiron›, il «senza limiti») in cui tutto riposa; la realtà, così come la vediamo intorno a noi (e di cui facciamo parte) si è formata staccandosi proprio da quel principio: un impulso incoercibile, una spinta potente, irrazionale e primordiale, spinge tutto a essere qualcosa. È la volontà di vivere, di cui parlava Schopenhauer. E non solo lui: lo schema di pensiero è molto più diffuso. La storia ebraica e poi cristiana degli angeli che si ribellano a Dio, o di Adamo ed Eva, non è molto diversa, e tanti altri paralleli, fin dalla lontana India, potrebbero essere aggiunti. Analoghe erano le conclusioni, del resto: questa colpa, la colpa di voler essere, prima o poi sarebbe stata punita. La nascita e la morte, l’essere e il non essere: ogni affermazione (di sé) è una negazione (dell’altro), ma giustizia prima o poi verrà fatta. Ecco la legge, tragica, che svela il segreto dell’esistenza. Una tesi affascinante, indubbiamente. Che però non c’entra nulla con Anassimandro.

[A·3]
Vissuto nel VI secolo a.C., di lui si è perso quasi tutto. Se ancora leggiamo qualche sua frase, è grazie al neoplatonico Simplicio (un personaggio di cui sarebbe bello raccontare le imprese: era uno dei sette filosofi fuggiti in Persia per fondare la città ideale di Platone, dopo che Giustiniano aveva chiuso la loro Accademia ad Atene nel 529 d.C.), che lo aveva citato, più di mille anni dopo. Il suo scritto, un imponente commento alla ‹Fisica› di Aristotele, fu poi pubblicato da Aldo Manuzio nel 1526 (e anche di queste imprese editoriali, e di quello che hanno significato per l’Europa, sarebbe bello ricordarsi), permettendo ai vari Nietzsche e Schopenhauer di appassionarsi ad Anassimandro. L’edizione di Manuzio, però, si fondava su un manoscritto lacunoso. Mancava una paroletta nell’ultima frase: «Essi scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo». Per quanto minuscola, l’aggiunta cambia tutto. Il conflitto non è più con il principio (Dio): riguarda l’universo, o meglio gli elementi che lo costituiscono. Anassimandro raccontava una storia completamente diversa.

Il mondo che si dispiega davanti a noi si organizza per opposizioni: il caldo e il freddo, la luce e il buio, l’acqua e il fuoco… il conflitto è tra questi opposti, gli elementi materiali costituenti, che sono come in guerra tra di loro. Il conflitto e il caos: il rischio è che l’universo intero collassi se uno degli elementi dovesse prevalere sugli altri. Era una paura ben presente nel mondo del mito, dove a ogni potenza naturale è associata una divinità, a cui occorre rivolgersi con preghiere e sacrifici perché conservi l’universo in questo suo equilibrio così precario. Terremoti, eclissi, mareggiate e siccità sono lì a ricordarci la precarietà del tutto: come per Asterix e Obelix, il timore è che il cielo possa sempre cadere, e tutto andare in frantumi. Così non sarà, spiega Anassimandro, forte della sua scoperta.

Scoprire significa vedere qualcosa che c’è, ma nessuno vedeva. È vero che la realtà si trasforma continuamente e che ogni trasformazione altro non è che l’affermarsi di una qualità e la temporanea soppressione del suo opposto. Ma la prevaricazione verrà riequilibrata nel corso del tempo, secondo una legge che regola eternamente queste opposizioni. È l’incessante alternanza del giorno e della notte, delle stagioni calde e fredde, e dei cicli astronomici che scandiscono la vita dell’universo. Questo ha visto Anassimandro, l’ordine che regola le trasformazioni.

Dimenticato il pensatore tragico, senza più bisogno di introdurre divinità arcane, quello che ora emerge è il cantore dei ritmi iscritti nel mondo dei contadini e dei mercanti. Un pensatore che confida esclusivamente nella sua capacità di osservare e ragionare. Non è più il tempo dei poeti che ripetono ispirati la parola della Musa: l’autorità di Anassimandro dipende unicamente dalla capacità di collegare correttamente i fenomeni, offrendo spiegazioni plausibili. Il risultato è la scoperta della «natura», la presa d’atto che questo immenso universo che ci circonda è qualcosa di unico, omogeneo, in cui tutto si tiene, secondo leggi e costanti. All’instabilità permanente del mito si sostituisce l’idea di uno spazio stabile e regolare — uno spazio «naturale» per cui non servono interventi arbitrari, esterni, «soprannaturali».

Non è un’intuizione da poco. La filosofia nasce così, insegnando a guardare, a riconoscere la trama che innerva lo spettacolo (questo significa ‹theoria› in greco) dell’universo, la regolarità che ricompone in un ordine dinamico ciò che all’occhio inesperto appare caotico e instabile.

[A·8]
Se lo avesse incontrato, Anassimandro non avrebbe compreso il senso della domanda di Heidegger. Per i Greci, l’universo esiste da sempre per sempre, eternamente. Inutile dunque chiedersi perché c’è l’essere e non il niente. Molto più proficuo, e interessante, è individuare le leggi che regolano la vita dell’universo e raccontarne la storia. Si sarebbe insomma sentito più vicino a un filosofo della scienza come Karl Popper, che infatti proprio in lui e negli altri presocratici aveva trovato i precursori degli scienziati contemporanei, uniti dallo stesso desiderio di comprendere, descrivere e spiegare. È una buona presentazione di quello che faceva Anassimandro: osservando le maree e le orbite dei pianeti si era convinto che l’universo è in espansione, con gli elementi caldi che si allontanano progressivamente da quelli freddi, forse in conseguenza di un’esplosione iniziale. Anassimandro teorico del Big Bang? O primo darwinista, visto che sosteneva anche che gli uomini derivano dai pesci? Di certo la passione di indagare e conoscere è la stessa. Aveva anche concepito la prima mappa dell’universo, con la Terra (a forma di cilindro, non piatta) al centro, circondata da una serie di anelli concentrici, delle stelle, del sole, della luna, secondo proporzioni geometriche ben definite. Un universo non solo uniforme ma anche elegante, insomma (e una prima versione del modello che il lettore italiano ritroverà nella Divina Commedia).

Tutto chiaro, dunque?

Prima di entusiasmarsi per i presocratici Popper si era formato discutendo con i membri del Circolo di Vienna, che si erano proposti l’obiettivo di fare chiarezza da tutte le astruserie della metafisica (Heidegger, tanto per cambiare, era il bersaglio privilegiato). Enunciati e domande che non rappresentano stati di fatti di ordine fisico, oggettivamente verificabili, non possono essere detti né veri né falsi, sono privi di senso: non trasmettono alcuna conoscenza e per questo bisogna starne lontani. Ludwig Wittgenstein, il nume tutelare del circolo, lo aveva spiegato con la consueta chiarezza. «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è»: come il mondo è, ecco qualcosa che possiamo descrivere e spiegare; che (perché) il mondo è (esiste), invece no; è qualcosa di cui non ha perciò senso parlare (è il Mistico, nel suo vocabolario): «Se una domanda può porsi, può avere anche una risposta»; «su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Davvero?

Anassimandro aveva offerto una prima descrizione «scientifica» dell’universo. Aveva per primo intuito che l’universo è un tutto organico, regolato da leggi e costanti. Alcune domande, però, rimanevano aperte. Perché ci sono queste leggi, chi garantisce per il loro funzionamento? Forse il misterioso ‹apeiron›, quel principio indeterminato, oscuro e infinito, da cui tutto proviene e a cui tutto torna? Ma questo non significa reintrodurre con parole diverse problematiche teologiche? Non è soltanto un problema storiografico (ricostruire le tesi di Anassimandro in proposito); è un’altra versione del solito problema: ma perché ci sono le cose — gli alberi e i pianeti, io e tu? Da dove arrivano e dove vanno?

Domande oziose, per cui probabilmente non si troverà mai una risposta ultima. Ma di cui è difficile fare a meno: «L’impulso al Mistico — scriveva lo stesso Wittgenstein il 15 maggio 1915 — viene dalla mancata soddisfazione dei nostri desideri da parte della scienza. Noi sentiamo che una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, il nostro problema non è ancora neppure stato toccato». È un’affermazione fin troppo severa: senza l’aiuto di chi ci guida nella comprensione di quello che accade intorno a noi, non potremmo veramente godere dello spettacolo dell’universo e iniziare a interrogarci su noi stessi.

Così Platone e Aristotele sostenevano che la filosofia vive della meraviglia, nella consapevolezza che le cose non sono mai come credevamo. Alla fine del suo percorso anche Wittgenstein era arrivato a conclusioni analoghe: «Mi meraviglio per l’esistenza del mondo». Imparare a meravigliarsi, consapevoli che tanto maggiori saranno le scoperte tanto più numerosi saranno i problemi che dovremo affrontare: probabilmente non c’è esperienza più bella per noi esseri umani, sempre in cerca di significati, ma anche sempre esposti al rischio di ricadere nelle superstizioni di Asterix. Per questo servono le scoperte degli scienziati, ma anche le domande dei filosofi. Meglio ricordarsene, visto che il viaggio promette di essere ancora lungo.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA: nessuna delle due fonti secondarie riporta evidenziazioni in corsivo; le abbiamo inserite a nostro giudizio, essenzialmente per i termini da lingue diverse dall’italiano, o per titoli di opere.

[A·0]• Il testo evidenziato è diverso nelle due fonti secondarie; ci siamo basati su quello di pressreader, che non sembra affetto da vistosi errori, ma è manifestamente incompleto, integrandolo con quello di spogli, nel quale abbiamo rilevato alcuni evidenti errori di trascrizione; quello di pressreader era il seguente:
L’invenzione della Natura Terremoti, eclissi, mareggiate e siccità sono lì a ricordarci la precarietà del tutto: come per i Galli dei fumetti, il timore è che il cielo possa sempre cadere. Ma così non sarà, aveva scoperto il filosofo di Mileto nel VI seco [sic!]
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Visioni — Anassimandro si era convinto che l’universo fosse in espansione, forse in conseguenza di una esplosione iniziale (il Big Bang?); e che gli uomini derivassero dai pesci (Darwin?)
Quello di spogli era invece il seguente:
L’invenzione della Natura, [sic!] Come per i Galli dei fumetti, il timore che l [sic!] cielo possa sempre cadere
Ma così non sarà, aveva scoperto il filosofo di Mileto nel VI secolo a.C.
Anassimamdro [sic!] si era cinvinto [sic!] che l’universo fosse in espansione, forse in consegueza [sic!] di una esplosione inizialr [sic!] (il Big Bang?); e che gli uomini ferivassero [sic!] dai pesci (Darwin?)

[A·1]• «Principio di tutte le cose […] una certa altra natura infinita, da cui tutto diviene […]»: “natura infinita”, però, è l’interpretazione aristotelica di ‹apeiron› (ἄπειρον) secondo l’etimologia α+πέρας, “senza limite”, che pare non sia quella vera.

[A·3]• «Mancava una paroletta nell’ultima frase: “Essi scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”»: confrontando con la citazione proposta nel 1° cpv., la “paroletta” mancante è “reciprocamente”.

[A·8]• «[…] Anassimandro […] si era convinto che l’universo è in espansione, con gli elementi caldi che si allontanano progressivamente da quelli freddi, forse in conseguenza di un’esplosione iniziale […]»: questa è veramente un’affermazione mai sentita né letta. [TBV]
•[ivi]• «[…] la prima mappa dell’universo, con la Terra […] al centro, circondata da una serie di anelli concentrici, delle stelle, del sole, della luna, secondo proporzioni geometriche ben definite»: ben definite ma alquanto fantasiose, essendo multipli di nove (assumendo il diametro terrestre come unità di misura), e alcuni studiosi sostengono che il nove stesse semplicemente per “molto lontano”; un altro mistero è per quale ragione le stelle fisse si trovassero a distanza minore rispetto al sole e alla luna.

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[] https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-la-lettura/20180812/281569471559605
[] https://spogli.blogspot.com/2018/08/il-manifesto-12.html
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