2018·09·22 - Stampa • Minucci·E • Galileo, eppur non si abiura

Galileo, eppur non si abiura


__________
A Londra la lettera perduta con la versione più forte della tesi condannata dalla Chiesa
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
di Emanuela Minucci
La Stampa — 22/09/2018 (sabato 22 settembre 2018)


[A·1]
Non era neanche troppo nascosta. La lettera perduta in cui Galileo Galilei mise giù le sue tesi contro l’idea, sostenuta dalla Chiesa, che fosse il Sole a ruotare intorno alla Terra, si trovava in una biblioteca di Londra. In possesso della Royal Society — la prestigiosa associazione scientifica britannica fondata il 28 novembre 1660 — da almeno due secoli e mezzo, era inspiegabilmente sfuggita all’attenzione degli storici per tutto questo tempo. È stata rintracciata e scoperta da Salvatore Ricciardo, giovane ricercatore dell’università di Bergamo che fra l’altro visitò il 2 agosto scorso con tutt’altri obiettivi. «Non potevo credere ai miei occhi — commenta il ricercatore — si trattava della lettera che tutti hanno cercato per oltre due secoli e non si nascondeva in un posto sperduto, ma proprio nella Royal Society Library».

[A·2]
La missiva considerata perduta è stata scoperta proprio da questo studioso nella biblioteca della Royal Society. Del testo sinora si conoscevano due copie, ma in nessuno dei due documenti [sic!] la teoria galileiana che gli costò, il 22 giugno 1633 la condanna per eresia, l’abiura forzata delle sue concezioni astronomiche e infine il confino nella sua villa di Arcetri.

[A·3]
Si tratta di una scoperta sensazionale perché dimostra che lo scienziato, vent’anni prima del processo, ribadì in modo più netto le sue teorie.

[A·4]
Il documento è scritto con la sanguigna, contiene qualche correzione ed è lunga [sic!] sette pagine e firmata [sic!] in calce G. G. Il padre della scienza moderna la [sic!] indirizzò all’amico Benedetto Castelli, monaco cristiano e illustre matematico e fisico dell’università di Pisa.

In queste pagine Galileo sostiene per la prima volta che la ricerca scientifica deve essere libera dalla dottrina teologica. Una lettera che scatenò un putiferio, ma che si tinse anche di giallo.

Il testo venne inviato all’Inquisizione il 7 febbraio del 1615 dal frate domenicano Niccolò Lorini e la copia di quella lettera è custodita ora negli Archivi Segreti Vaticani. Una settimana dopo, Galileo scrisse anche all’amico Piero Dini, suggerendo che la versione spedita dal Lorini all’Inquisizione fosse stata alterata. Galileo allegò anche una versione «edulcorata» della lettera spedita a Castelli, presentandola come la versione originale, e gli chiese di farla avere ai teologi vaticani.

Scrivendo a Dini, Galileo — che nel 1633, dopo la pubblicazione del ‹Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo›, sarebbe stato processato e condannato per eresia — si lamentava della malvagità e dell’ignoranza dei suoi nemici e si diceva preoccupato che l’Inquisizione potesse essere ingannata “da questa truffa, coperta dal mantello dello zelo e della carità”.

Com’era andata davvero? Galileo affidò davvero all’amico Castelli il suo sfogo contro le ingerenze e le pressioni della Chiesa o qualcuno inviò una lettera falsa all’Inquisizione contro lo scienziato?

[A·9]
Il documento ritrovato da Ricciardo mostra che lo scienziato avrebbe corretto ed edulcorato le proprie parole, per evitare l’ira dell’Inquisizione. Il testo — Castelli a un certo punto aveva rimandato a Galileo la sua lettera — è puntellato da correzioni, con modifiche significative, come nota ‹Nature›, che ha anticipato la scoperta. In un punto, ad esempio, l’aggettivo “falso” attribuito ad “alcune affermazioni della Bibbia” è sostituito con un “appare diverso dalla verità”. Ma sotto le modifiche e le cancellature, il testo originale risulta proprio quello trasmesso da Lorini al Tribunale dell’Inquisizione.

Ricciardo, insieme al suo supervisore Franco Giudice e allo storico Michele Camerota dell’università di Cagliari, ha verificato l’originalità della lettera confrontando singole parole con altre simili scritte da Galileo nello stesso periodo. La scoperta è descritta in un articolo che sarà pubblicato sulla rivista ‹Notes and Records› della Royal Society.


_____________________
ANNOTAZIONI E SPUNTI
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
NOTA: la fonte secondaria dalla quale abbiamo tratto il testo non contiene evidenziazioni in corsivo; le abbiamo introdotte in questa versione per i nomi di pubblicazioni (come ‹Nature›) e titoli di opere (come ‹Dialogo sopra i due massimi sistemi…›).

[A·1]• Nel testo originario: «[…] giovane ricercatore dell’università di Bergamo che fra l’altro visitò il 2 agosto scorso con tutt’altri obiettivi»; in questa frase manca il complemento oggetto, forse omesso per un refuso o per un errore di editing – visitò che cosa? Escludendo che si tratti di Bergamo, l’unico oggetto visitabile tra quelli menzionati in precedenza si direbbe la Royal Society Library…

[A·2]• «La missiva considerata perduta è stata scoperta proprio da questo studioso nella biblioteca della Royal Society»: è quanto già dichiarato nel 1° cpv.; perché ribadirlo?
•[ivi]• Nel testo originario: «[…] ma in nessuno dei due documenti [sic!] la teoria galileiana […]»; in questo caso manca il verbo: refuso, dimenticanza, o vezzo stilistico? Nell’incertezza, marcato con [sic!].

[A·3]• «[…] lo scienziato, vent’anni prima del processo, ribadì in modo più netto le sue teorie»: nel testo dell’articolo, tuttavia, non viene specificata la data della lettera di Galilei rinvenuta nella biblioteca della Royal Society, ma da questa frase possiamo arguire che si tratti – anno più, anno meno – del 1613 (si veda anche la nota relativa al cpv. successivo).
NOTA: wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_a_Galileo_Galilei) data la lettera al Castelli “21 dicembre 1613”, dunque la data in sé sembrerebbe non essere uno ‹scoop› (e questo sia da considerare a discolpa della Minucci).

[A·4]• Nel testo originario: «Il documento è scritto con la sanguigna […] ed è lunga [sic!] sette pagine e firmata [sic!] […]»; la lettera sarà “lunga”, ma il documento sarà “lungo” e “firmato”; marcato con [sic!].
•[ivi]• Nel testo originario: «[…] la [sic!] indirizzò all’amico Benedetto Castelli […]»; anche in questo caso il femminile del riferimento conferma il sospetto che in una prima stesura “il documento” fosse “la lettera”; marcato anche questo con [sic!].
NOTA: la lettera in questione si inserirebbe quindi nel contesto delle “lettere copernicane”; vedi wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Galileo_Galilei) che si pronuncia nei termini seguenti:
Fra il 1612 e il 1615 Galileo difese il modello eliocentrico e chiarì la sua concezione della scienza in quattro lettere private, note come “lettere copernicane” e indirizzate a padre Benedetto Castelli, due a monsignor Pietro Dini, una alla granduchessa madre Cristina di Lorena.
(Cristina di Lorena era consorte del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, al quale diede ben 9 figli, tra i quali il primogenito era Cosimo, che succedendo al padre fu quarto Granduca di Toscana dal 1609 al 1621); comunque, tornando a Galilei, in quegli anni evidentemente egli “ribadì in modo più netto le sue teorie” in più d’una lettera.
•[ivi]• «[…] all’amico Benedetto Castelli, monaco cristiano e illustre matematico e fisico dell’università di Pisa»: parrebbe singolare quel “monaco cristiano”, ma la descrizione del Castelli coincide con quella fornita da wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Benedetto_Castelli):
Benedetto Castelli, al secolo Antonio Castelli […] è stato un monaco cristiano, matematico e fisico italiano.
Risulta che prese il nome di “Benedetto” entrando nell’ordine benedettino; Galilei fu «suo maestro e amico», tanto da donargli una copia del ‹Sidereus Nuncius›, da lui già letto ed apprezzato; dalla stessa fonte apprendiamo che
[si trasferì…] a Firenze presso Galileo, col quale collaborò assiduamente nelle nuove opere ch’egli scrisse sulle sue scoperte astronomiche e fisiche. Nei suoi esperimenti e studi si dedicò alla matematica e alla geometria. Castelli occupò il primo posto tra i collaboratori di Galilei e fu uno dei maggiori scienziati del suo tempo definito da Galileo stesso “huomo adornato d’ogni scienza e colmo di virtù, religione e santità”.
Proprio nel 1613, Castelli era diventato professore ordinario all’università di Pisa, e
A Pisa conobbe Bonaventura Cavalieri, e, vista la sua prodigiosa attitudine per la geometria, lo introdusse presso Galileo e lo avviò all’insegnamento.
Chiamato a Roma dal nuovo Papa Urbano VIII come professore alla Sapienza, Castelli cercò discretamente di difendere Galilei nel corso del 1° processo imbastito contro di lui (1614-1616). Si direbbe che Castelli condividesse appieno le idee di Galilei, ma fu tanto avveduto e discreto da non mettere per questo a repentaglio né la propria carriera, né la propria incolumità.

[A·9]• «[…] il testo originale risulta proprio quello trasmesso da Lorini al Tribunale dell’Inquisizione»: come poi il Lorini potesse essere venuto in possesso di una missiva inviata da Galilei a Castelli, così da poterne inviare una copia esatta all’Inquisizione, rimane tuttavia un mistero.
NOTA: una domanda, infine, altrettanto intrigante è come mai una lettera, inviata da Galilei a Castelli, da questi ritornata a Galilei che la emendò per redigerne una copia (autografa ma falsa) da inviare a Pietro Dini, il quale avrebbe dovuto farla recapitare agli inquisitori (i “teologi vaticani”), sia potuta finire a Londra, nella biblioteca della Royal Society, che tra l’altro all’epoca non era ancora stata fondata… davvero curioso!

_____
[] https://spogli.blogspot.com/2018/09/la-stampa-22_17.html
¯¯¯¯¯