1979·02·16 - Messaggero • Rossini·S (Fagioli delirio mediocre seduttore)

Il delirio di un mediocre seduttore


✩ (Arkbase)

Psiche e società | Il caso Fagioli

Molti giovani della Nuova Sinistra, angosciati dal «riflusso», stanno scoprendo quella psicoanalisi degradata che viene usata in certi esperimenti di psicoterapia collettiva. Il segno più grave di questo inquietante fenomeno sono tre pagine che «Lotta Continua» ha dedicato giorni fa ai ciarlataneschi psicogruppi di Massimo Fagioli. Il quale è un pasticcione. Vediamo perché

di Stefania Rossini
il Messaggero — 16/02/1979 (venerdì 16 febbraio 1979)


«La psicoanalisi è stata sempre una realtà borghese di repressione e mistificazione»? La domanda è antica e ha purtroppo attraversato la cultura italiana prendendo fiato dalle diverse, ma non meno rigide, posizioni dell’idealismo e del fascismo, e trovando stabile statuto in alcuni settori del nostro marxismo. Da almeno un decennio, però, sembrava un interrogativo dimenticato o accantonato con vergogna.

Che senso ha, allora, ritrovare oggi immutata — e con uno spazio e un risalto non consueti — sulle pagine del più diffuso giornale della nuova sinistra, la stessa domanda? L’occasione è offerta da quella che a ‹Lotta Continua› appare come una rassicurante innovazione «una novità della teoria, una diversità del metodo e della prassi», tanto da poter affrontare, senza pericolo di cedimenti ideologici, un discorso su quello «strumento borghese» che sarebbe la psicoanalisi.

[A·3]• ±
Si parla di Massimo Fagioli, l’ideatore di quella pratica detta «psicoanalisi collettiva» o «d’assemblea» (due o trecento persone a seduta), durante la quale si improvvisano e distribuiscono interpretazioni su sogni, lapsus, manchevolezze o insufficienze. La novità è data dall’assunzione, da parte di un giornale che è ribalta e portavoce del punto di vista e delle aspettative di migliaia di giovani, del pensiero del dottor Fagioli, impacchettato, sabato scorso, in una lunghissima intervista dal titolo «Inconscio mare calmo e liberazione umana».

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Difficile, se non impossibile, trovare argomenti per rispondere a tesi che non sono tali, a una teoria che è una miscellanea di luoghi comuni, esortazioni al buon senso e categorie psicoanalitiche degradate e irriconoscibili. Si veda, ad esempio, l’uso del termine «resistenza» (nella psicoanalisi uno degli elementi fondamentali del conflitto psichico), qui ridotta a «resistenza» contro l’adattamento alla società e contro lo sfruttamento («io con il lavoro analitico aumento la resistenza»), secondo un’accezione più congeniale a Parri o Lajolo che a Freud.

[A·5]• ±
Nell’«inconscio mare calmo» fagioliano si dissolve ogni possibilità di controbattere, cercare di capire e ragionare (ingrato compito, del resto, già egregiamente svolto da Sergio De Risio su questa pagina qualche mese fa). Limitiamoci perciò a un breve florilegio estratto dalla sua intervista, Vediamo in pillole cosa è stato fornito come «riflessione», in tre fittissimi paginoni, ad alcune decine di migliaia di giovani della nuova sinistra, perlopiù privi di strumenti critici in questo campo, ma portatori di disagio post-politico che cerca disperatamente vie e scorciatoie liberatrici.

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Chi è Freud, per lo «psicoanalista» Fagioli? Un «bravo idiota» che, avendo mal interpretato un proprio sogno del 1896, «non ci ha capito niente» e ha perso l’occasione di scoprire, con 70 anni di anticipo, la fagioliana «fantasia di sparizione», che sarebbe «un modo di risolvere i conflitti interumani mediante una pulsione onnipotente che è la “pulsione di annullamento”».

Ma guai, a un ingenuo tentativo di orientarsi attraverso categorie usuali, chiedergli se c’è analogia con la freudiana «pulsione di morte». Fagioli si indigna contro «quei pasticci infernali per cui il desiderio sarebbe anche desiderio di morte», perché «quello non è desiderio, è odio». Un brutto vizio, di quei vizi che il Maestro aborrisce.

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Dopo la «pulsione di annullamento», che è la prima delle sue scoperte fondamentali («fa di ciò che è ciò che non è, cioè non esiste, e fa di ciò che è stato ciò che è»), la seconda non è meno concettosa e porta dritto all’«inconscio mare calmo», una specie di fantasia-ricordo originata dal rapporto del feto con il liquido amniotico e che, una volta recuperata, garantisce la «guarigione»: «È la scoperta che l’origine dell’essere umano è assolutamente materiale; l’origine dell’essere umano è uno spermatozoo che si unisce all’ovulo e si sviluppa in un certo modo». Così, alle soglie del 2000, e alla faccia di tanti «bravi idioti», abbiamo ‹finalmente› liquidato l’origine divina dell’uomo.

Ma, munito di una tale costruzione dottrinale, ‹che cosa› cura Fagioli? Forse l’angoscia, la disperazione, l’insicurezza, la paura della realtà, tutto quell’insieme di sintomi classificabile, quando va bene, sotto il nome di nevrosi?

Macché, lui si occupa di ben altri guasti! Non sopporta la gente «indifferente, masturbatrice, scissa, invidiosa e bramosa»: vizi e difetti, insomma. Quelli per Fagioli proprio insopportabili, sono «l’invidia, la bramosia» e la solita «fantasia di sparizione». Li chiama «le tre streghe» e li «frustra». Con un’alta dose di frustrazione, è garantita la guarigione. Tanto fumo e tanto chiasso per ritrovarci fra i piedi un moralista di vecchio stampo, fustigatore di costumi.

E ‹come› «cura» Fagioli le centinaia di persone che si rivolgono a lui per aiuto? Inizia un lungo e faticoso lavoro di analisi? Affronta quel particolare e difficile rapporto che impegna, spesso per anni, analista e paziente? Instaura, con ogni paziente, un’esperienza ogni volta nuova, unica e irripetibile?

Neanche a pensarci! Non si vorrà mica ricadere nei vecchi trucchi del potere borghese? Fagioli sa bene che l’uomo è un essere sociale e se ne occupa ‹collettivamente›: «Io non so chi sono le persone, non so nemmeno i nomi; eppure ci parlo direttamente e dò interpretazioni analitiche, e funziona, e non li conosco». Altrove, confondendo l’individuo sociale con l’individuo interscambiabile, aveva detto: «A volte io non faccio che interpretare il sogno di uno per rispondere a quello di un altro. È la conferma che l’uomo è un essere sociale. Vedi che Marx torna sempre?». Perché — e non è innovazione da poco — Fagioli non solo rifiuta in Freud «l’imbecille che non aveva capito niente», ma ha anche scoperto che solo Marx «aveva intuito la psicoanalisi». E, a maggior precisione, ne cita anche i testi: ‹I manoscritti economico-filosofici› e ‹L’ideologia tedesca›.

Chi, fino ad oggi, si era orientato secondo schematiche classificazioni di comodo, è avvertito.

[A·14]• ±
Quando poi l’intervistatrice di ‹Lotta Continua› si spinge a indagare le motivazioni personali, vengono fuori ingenuità e lapsus illuminanti. Che cosa lo spinge a fare questa lotta? Una «dimensione di realizzazione che, se volete, è una dimensione sessuale. Perché si fa l’amore? Per qualcosa? Si fa l’amore per niente». E non è giusto che i «compagni» sospettino che egli a questo punto detenga un ‹potere›? «Assolutamente no. Potere, di una ragazza che ti fa innamorare, si dice tante volte; lo chiami potere tu? Ma è una bellezza!». E il dottore non si accorge che ci confessa di sentirsi oggetto d’amore e di porsi, rispetto al suo gruppo, nella posizione del Seduttore.

Se finora qualche lettore si è divertito, il merito va poco al cronista e molto a Massimo Fagioli e alla sua bislacca attività «terapeutica». Ma c’è poco da divertirsi. Il fenomeno è più grave e preoccupante di quanto le inconcludenti teorie del personaggio facciano sembrare. L’affollamento, la partecipazione emotiva, l’assiduità di centinaia di giovani della sinistra ai quattro seminari settimanali, è un dato che va al di là del costume e si impone come una crescente tendenza sociale.

È indubbio infatti — senza voler defraudare il dottor Fagioli del potere carismatico che si è conquistato — che quello che vediamo concretarsi in queste mastodontiche «assemblee dell’anima» è la conclusione di un lungo processo sviluppatosi in questi anni secondo la legge della domanda e dell’offerta. Cerchiamo di rintracciarne, brevemente, i momenti e le tappe più significativi.

[A·17]• ±
Nel 1974, prossimo all’espulsione dalla Società Psicoanalitica Italiana, Fagioli, attorniato da alcuni fedeli — tra cui Antonello Armando, discepolo prediletto e, per mezzo della casa editrice paterna, «sponsor» editoriale del Maestro — si offre sul mercato della sinistra con una serie di lettere e interventi pubblicati sul ‹Manifesto›, firmati con uno pseudonimo (buon esordio per un ricercatore della «verità») e infarciti di parole d’ordine e slogan pseudo-analitici adattati ai temi allora obbligatori della sinistra: necessità della socializzazione della psicoanalisi, della sua moltiplicazione e diffusione sul «territorio», e altri rumori di fondo.

Nel frattempo, in numerose componenti del movimento, andava tramontando la grande stagione ideologica e si manifestava un nuovo atteggiamento nei confronti di tematiche e problemi riguardanti l’individuo, le sue aspettative, i suoi bisogni, e — soprattutto — l’immediata realizzazione dei medesimi. L’esigenza di vivere meglio nell’«oggi», di «stare bene», di avere «tutto e subito» comincia ad accompagnarsi al rifiuto di rinunce e sacrifici individuali, tradizionalmente finalizzati a un momento risolutivo (rivoluzione, presa del potere, ecc.) che avrebbe, con la liberazione collettiva, reso automaticamente libero l’individuo.

Il bisogno di «benessere psichico» sale al primo posto per larghi strati di giovani e di intellettuali. Quell’insieme di atteggiamenti, teorie, intuizioni che i movimenti femministi prima, e quelli giovanili dopo, avevano espresso con lo slogan «il personale è politico», apre infatti la strada al convincimento che insieme se non prima del «nemico esterno» (la società repressiva, il sistema patriarcale e maschilista, il capitalismo, la DC, ecc., secondo le varie posizioni ideologiche) va affrontato e combattuto un «nemico interno» che può soffocare, distorcere o impedire non solo la propria gioia di vivere e di amare, ma anche il farsi della lotta politica stessa.

[A·20]• ~!±?
Questa esigenza si va maturando prima in modo sotterraneo e capillare (piccoli gruppi femministi di autocoscienza, collettivi di «pratica dell’inconscio»), poi pubblico ed esplosivo (slogan sulla «qualità della vita», teorie dei «flussi desideranti»), introducendo un linguaggio nuovo, spontaneo e non codificato, ma per lo più mutuato dalla «vulgata psicoanalitica».

La disattenzione storica, se non l’aperta ostilità, da parte del Movimento Operaio e della cultura marxista in generale per questo tipo di problemi, l’allarme e il disorientamento con il quale erano stati accolti dagli stessi gruppi extraparlamentari, contribuiscono ad aprire una successiva frattura tra «personale» e «politico», acuendo l’esigenza di risolvere intanto i propri problemi, sempre più urgenti, quanto più disattesi. Ma la rinuncia alla propria connotazione politica è, per i più, difficile; si cercano così vie di mezzo, in cui siano appagate contemporaneamente esigenze di «conoscenza di sé» senza trascurare una «qualità politica» in qualche misura nuova e alternativa.

[A·22]• ±?
È così avvenuto che questa massiccia domanda, questa crescente richiesta sociale, abbia indotto la formazione, spesso improvvisata e dilettantesca, di una relativa «offerta». Si sono moltiplicate figure di «esperti di psicoanalisi di sinistra» che si assumono disinvoltamente compiti di tipo terapeutico, organizzano psicogruppi, conducono psicodrammi, fino a tentare vere e proprie analisi individuali.

È in questo ambito che si iscrive la fortuna e la rapida ascesa della «psicoanalisi di assemblea», tanto più gratificante in quanto subito comunitaria e «di massa». Ma il pericolo di queste forme di dilettantismo, e spesso di vero e proprio banditismo, in una pratica di tanto delicato approccio ed esercizio, andrebbe finalmente discusso e affrontato.

[A·24]• ±
Le centinaia di giovani che seguono i «seminari» del dottor Fagioli non tarderanno — si spera — a comprendere che non è un «processo di liberazione» quello che stanno vivendo, né, tantomeno, una forma di approssimazione al comunismo, come un incauto quanto ignaro giornalista del ‹Corriere della Sera› sbandierò tempo fa in prima pagina, assicurando che Fagioli interpreta «in modo contemporaneo un ideale di società fraterna (non gerarchica) capace di darsi discipline e regole del gioco orientate verso finalità comuni».

[A·25]• ±
Per questi giovani — e per quanti, dopo il lancio in grande stile organizzato su ‹Lotta Continua›, vi si aggiungeranno — c’è solo da augurarsi che abbia ancora ragione Freud (già nel 1910 impegnato ad affrontare i primi guasti dell’‹analisi selvaggia›) e che anche in questo caso i procedimenti arbitrari e improvvisati, mentre purtroppo danneggiano la causa della psicoanalisi, non rechino danno anche ai singoli pazienti.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Questo articolo di Stefania Rossini non è critico soltanto verso Fagioli e la sua pratica analitica (quindi anche verso i partecipanti ai seminari di Analisi collettiva, trattati come sprovveduti), ma soprattutto verso “Lotta Continua” – e, di straforo, il “Corriere della Sera” – che si erano permessi di dare spazio ad articoli e interviste su quello che sembrava un fenomeno in forte crescita. Ed è proprio l’aspetto di “reazione” dell’articolo a suscitare i maggiori dubbi sulla genuinità delle critiche e sulla buona fede dell’autrice; come se, essendosi ormai incrinato il muro del silenzio attorno alle attività di Fagioli, si fosse resa necessaria una “risposta” che altrimenti sarebbe stato preferibile evitare.


[A·3]• «[…] una lunghissima intervista dal titolo “Inconscio mare calmo e liberazione umana”»: si tratta dell’intervista pubblicata su “Lotta Continua” il 10/2/1979, che però era stata rilasciata da Fagioli quasi un anno prima, nel marzo del 1978. Il testo venne successivamente ripubblicato in appendice alle prime edizioni di ‹Bambino donna e trasformazione dell’uomo› (1980).

[A·4]• «[…] una teoria che è una miscellanea di luoghi comuni, esortazioni al buon senso e categorie psicoanalitiche degradate e irriconoscibili»: la Rossini non si rende conto che le categorie che utilizza nel suo argomentare sono applicabili in prima istanza al “padre” della psicoanalisi (di cui tenta di ergersi a difesa).

[A·5]• «[…] compito […] già egregiamente svolto da Sergio De Risio […]»: si veda il commento di De Risio pubblicato il 29/3/1978 sul “Messaggero”, col titolo ‹Psiche e Fagioli› (qui).

[A·6]• «[…] Freud […] Un “bravo idiota” che, avendo mal interpretato un proprio sogno del 1896 […]»: si tratta del celebre sogno del cartello “Si prega di chiudere gli occhi”, sogno descritto e “interpretato” nella ‹Traumdeutung› (‹L’interpretazione dei sogni›, 1899); secondo Fagioli il cartello alludeva evidentemente al “chiudere gli occhi per far sparire”, ma Freud sbagliò clamorosamente l’auto-interpretazione, e forse non sarebbe stato comunque in grado di interpretarlo perché era convinto (1) che le immagini oniriche fossero allucinazioni, cioè immagini inesistenti; (2) che i sogni erano espressione (e soddisfazione) di desideri che la coscienza non avrebbe accettato.

[A·8]• «[…] alle soglie del 2000 […] abbiamo ‹finalmente› liquidato l’origine divina dell’uomo»: la Rossini vorrebbe probabilmente fare dell’ironia, ma risulta che esistano tuttora analisti che inviano i loro pazienti all’esorcista, nonché esorcisti che inviano i loro indemoniati allo psicoanalista.

[A·14]• «[…] il dottore non si accorge che ci confessa di sentirsi oggetto d’amore […]»: siamo pronti a scommettere che invece ne fosse perfettamente consapevole; la Rossini fa finta di non sapere che il problema “amore di transfert” è ben noto in tutti gli ambiti analitici, e Fagioli aveva completato il training analitico proprio alla scuola freudiana.

[A·17]• «[…] una serie di lettere e interventi pubblicati sul ‹Manifesto›, firmati con uno pseudonimo […]»: fonti che non siamo riusciti a rintracciare; la Rossini non fornisce riferimenti precisi, né rivela come abbia fatto a scoprirlo – una “soffiata” da parte di qualche collega? Sia come sia, da alcune note biografiche giunte in nostro possesso ricaviamo il passo seguente:
Nei primi mesi del 1975, Massimo Fagioli scrive (con Antonello Armando) 3 articoli per “il Manifesto”: ‹La psicoanalisi in Italia› (19 gennaio), ‹Da Freud a Lacan› (26 gennaio) e ‹Psicoanalisi e marionette› (23 marzo) con lo pseudonimo “Giacomo Nava”.

[A·20]• Nell’originale a stampa, «[…] prima in modo sotterraneo e capillare (piccoli gruppi femministi di autocoscienza, collettivi di “pratica dell’inconscio” [sic!], poi […]», manca la parentesi chiusa; parentesi inserita.
IBID.• «[…] un linguaggio nuovo […] per lo più mutuato dalla “vulgata psicoanalitica”»: cosa la Rossini intenda per “vulgata psicoanalitica” non è chiaro, ma è forse opportuno ricordare che il termine “vulgata” si riferisce alla traduzione in latino della Bibbia (dagli originali in greco e in ebraico) eseguita da Sofronio Eusebio (San) Girolamo alla fine del IV sec. per incarico di papa Damaso I; potrebbe quindi trattarsi di un lapsus, implicando che per la Rossini esista una “Bibbia” della psicoanalisi, presumibilmente identificabile con le opere di Freud. La “vulgata”, però, venne realizzata per iniziativa delle autorità ecclesiastiche (la SPI, l’IPA?) proprio con l’intento di porre fine alla circolazione di traduzioni non autorizzate.

[A·22]• «[…] “esperti di psicoanalisi di sinistra” […] organizzano psicogruppi, conducono psicodrammi, fino a tentare vere e proprie analisi individuali»: ancora una volta, non è chiaro a chi si riferisca la Rossini, che non fa nomi precisi; se il suo bersaglio è Fagioli, “dimentica” che oltre alla laurea in medicina e alla specializzazione in neuropsichiatria ha fatto tutto il training psicoanalitico ed esercitava in sedute individuali almeno fin dal 1964, anno in cui egli stesso data la scoperta della “fantasia di sparizione” (il paziente di ‹Storia di un caso›, del resto, iniziò la terapia individuale nel 1963-64); ben 12 anni prima dell’Analisi collettiva, quindi, che ebbe inizio solo a gennaio del 1976.

[A·24]• «[…] come un incauto quanto ignaro giornalista del ‹Corriere della Sera› sbandierò tempo fa in prima pagina […]»: si tratta di Giuliano Zincone, autore di un articolo su Massimo Fagioli e sull’Analisi collettiva pubblicato dal ‹Corriere della Sera› in data 12/3/1978, col titolo ‹A Roma è scoppiato l’Anti-Freud› (qui); di cosa Zincone fosse “ignaro” non è del tutto chiaro, probabilmente di cosa ne pensava la Rossini. Riportiamo comunque il cpv. da cui è tratta la frase citata:
No, Fagioli non è certo un analista permissivo, non usa la bacchetta magica per far sparire i sentimenti di colpa dei pazienti. Ma questa, forse, è una delle cause del suo successo, nei confronti di un gruppo sociale per il quale la contestazione del principio d’autorità ha coinciso con la caduta di un intero sistema di valori. A noi sembra che (al di là dei suoi compiti specifici) Fagioli interpreti in modo piuttosto “contemporaneo” un ideale di società fraterna (non gerarchica) capace di darsi discipline e regole del gioco orientate verso finalità comuni.

[A·25]• «[…] c’è solo da augurarsi che […] i procedimenti arbitrari e improvvisati, mentre purtroppo danneggiano la causa della psicoanalisi, non rechino danno anche ai singoli pazienti»: ma non fu proprio Freud il primo a danneggiare i suoi pazienti, e ad occultare i suoi fallimenti terapeutici?
IBID.• «[…] Freud (già nel 1910 impegnato ad affrontare i primi guasti dell’‹analisi selvaggia›) […]»: altro lapsus della Rossini, che nel difendere Freud ci rivela che fu egli stesso la fonte principale della “analisi selvaggia”; per assicurare autonomia alla sua nuova disciplina l’aveva infatti svincolata dalla medicina e – pur essendo egli stesso un medico – osteggiava l’adesione di medici al movimento psicoanalitico e il loro accesso al training. La conseguenza di ciò fu che – come evidenzia lo stesso Fagioli in ‹Bambino donna e trasformazione dell’uomo› (1980) – le “autorità” in materia di psicoanalisi non sono altro che club privati.

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[] https://associazioneamorepsiche.org/stampa/page/79/
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