1979·03·06 - Messaggero • Rossini·S (Fagioli psicomante)

Il dito, il verme e lo psicomante


✩ (Arkbase)

Psiche e società
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Concludiamo la controversia sui seminari di Massimo Fagioli rispondendo alle molte lettere di protesta dei suoi troppo ingenui ammiratori

di Stefania Rossini
il Messaggero — 06/03/1979 (mercoledì 6 marzo 1979)




Due settimane fa usciva su questa pagina un mio articolo che prendeva in esame una lunghissima intervista che Massimo Fagioli, psicoanalista d’assemblea, aveva da poco pubblicato su ‹Lotta Continua›. Seguiva, il giorno successivo, un più breve commento di Umberto Silva.

Ambedue gli articoli non erano certo benevoli nei confronti di quella che, sul giornale più letto della nuova sinistra, veniva spacciata come una rivoluzionaria innovazione, capace di far finalmente convivere lotta politica e «liberazione umana».

Ma, da parte mia — ritenendo che la semplice immissione sul mercato di un altro psicomante (per quanto consolatoria sia la teoria che enuncia e furbastro il metodo che pratica) fosse insufficiente a spiegare la fascinazione suscitata in così tante persone — mi sforzavo di rintracciare le ragioni che avevano portato alla formazione di un fenomeno nuovo e inquietante, centinaia di giovani di sinistra, in gran parte reduci da esperienze politiche, che si accalcano in una stretta aula universitaria, al solo scopo di farsi interpretare un sogno, svelare un lapsus, ricevere un ammonimento sulla «malattia mentale» sempre in agguato. E il tutto vissuto con un coinvolgimento e una partecipazione emotiva impressionanti.

Non so se sia questo il motivo per cui la valanga di lettere arrivate in redazione chiama in causa soprattutto il mio articolo. Ma pare sia mio il compito di rispondere, almeno per la parte di obiezioni che mi riguarda. Devo ammettere, però, che chiamare «obiezioni» la congerie di insulti e di improperi che mi sono stati indirizzati è, in questo caso, un pudico eufemismo.

Sono infatti, di volta in volta, accusata di «ignoranza», «odio furioso», «violenza», «invidia», «stupidità» (per fortuna, almeno in un caso, non «vera e autentica», ma finta, simulata per cercare di non capire la rivoluzionaria teoria di Fagioli); sono considerata «rabbiosa e delirante»; schiacciata sotto il peso di immagini apocalittiche («novella profetessa del Male»); indicata come agente del nemico perché, scrivendo su «un giornale ad alta tiratura», avrei in mano addirittura «il potere».

Stando poi alle argomentazioni di molte lettere, pare proprio che tra gli aderenti a questi collettivi siano maturati, oltre a ogni pessimistica previsione, quelli che Freud, in ‹Psicopatologia delle masse e analisi dell’Io›, individuò come i processi principali della modificazione del singolo all’interno del gruppo: esaltazione dell’affettività e inibizione del pensiero.

Dala lettera di Clara Centrella — che impiega cinque cartelle per darmi della stupida perché non soltanto parteggerei per Freud, ma nientemeno e «conseguentemente per l’origine divina dell’uomo» — trascrivo il brano sotto questo aspetto più inquietante:

«Ecco: dire che Freud in realtà non ha fatto altro che rafforzare il concetto di autorità all’interno dell’uomo e che perciò si è posto come strumento di potere, in quanto non credendo nell’inconscio umano porta ad una ristrutturazione della repressione, la più sofisticata e la più totale possibile, scatena un odio incontenibile».

Così, nel tentativo di contrapporre alla psicoanalisi il «pensiero» di Fagioli (il quale, [sic!] perseguirebbe la «ricerca della «sanità fondamentale» dell’uomo che si basa sul concetto dell’inconscio mare calmo come dimensione sociale ed istintiva») la lettrice ci informa che Freud non credeva nell’inconscio. Ciascuno è libero di pensarla come vuole. Ma quel poco che si pretende da questi discepoli accecati dall’«affetto» è almeno un briciolo di rispetto per la storia delle idee. O presto verremo informati che Marx non credeva nel plusvalore e Einstein nella relatività.

Un giovane lettore, dalla firma indecifrabile, si cimenta invece in un’interpretazione di stampo fagioliano sui motivi che mi avrebbero spinto ad «annullare» la teoria di «Massimo». Io sarei dunque «una madre invidiosa che di fronte al bambino, il quale chiedendo delle risposte umane, nonché soddisfazione dei suoi desideri, mette la madre continuamente in crisi, chiude gli occhi, annulla il bambino, lo vorrebbe sparito e inesistente. Ma il bambino, (il gruppo, il collettivo, credo di capire) c’è. Risulta anche grandicello. Continua a crescere nonostante la madre “morta”, indifferente e invidiosa…».

E io che rispondo? Che non sono madre? Che non ho figli? Mi si direbbe subito che, appunto per questo, faccio «la fantasia di sparizione» sul bambino, su Fagioli che è un bambino, sul bambino che è in Fagioli, sul collettivo che è il bambino di Fagioli e non il mio bambino, sul bamb…

Ma nelle lettere non ci sono, sempre e solo, farneticazioni. È il caso, per esempio di Alida Dell’Ascenza, Anna Orlandini, Caterina Tripodi e Maria Meloni che firmano insieme una replica accesa e risentita. Anche qui gli insulti non mancano, ma si avvertono anche toni di disagio e sofferenza reali. Chiedono le quattro lettrici:

«In base a quale teoria scientifica, alcune dimensioni quali l’indifferenza, la masturbazione, la scissione, l’invidia e la bramosia si definiscono come “vizi e difetti”? Tali dimensioni ‹sono› la nevrosi stessa e talora la psicosi e per liberarsene, occorre, innanzitutto, riconoscerle. Esse sono la base sulla quale si edifica la propria e l’altrui pazzia. Come non vedere quanto dolore, quanta angoscia, quanta impotenza, esse determinano in noi, e come esse costituiscano un costante impedimento alla realizzazione, alla sessualità, alla creatività, alla libertà stessa dell’uomo?».

Dietro alcune generalizzazioni, non si può non avvertire che il problema che la lettera pone è drammatico e sincero. Non sta certo a me dare risposte soddisfacenti. Credo però sia onesto cercare di spiegare meglio quanto ho già scritto augurandomi di non suscitare altri fraintendimenti.

Non ho ma detto che «l’indifferenza, la scissione, l’invidia, la bramosia» (sulla masturbazione conservo qualche perplessità) non possano ‹far parte› della nevrosi; non c’è dubbio che siano manifestazioni (tendenze, le chiamate voi) di un conflitto profondo e radicato, che soffochino e impediscano il legittimo anelito alla «realizzazione» e alla «creatività». Ma non sono stata io, purtroppo (perché in questo caso il danno sarebbe minimo) a isolarle ed estrapolarle da una più complessa condizione di angoscia e di impotenza, a farne il bersaglio su cui costruire quell’ibrido modello di intervento terapeutico che con tanto cieco attaccamento difendete.

È tutto del dottor Fagioli il merito della riedizione di un codice moralistico che le individua e le condanna. È suo il disprezzo di cui le copre e l’inedito strumento (la «frustrazione») con cui pretende di guarirle. Se ho chiamato «vizi e difetti» dinamiche psichiche di ben altra natura e complessità, è perché proprio in questa luce Fagioli ve le presenta, chiedendovi per esse biasimo e riprovazione.

E poi che cos’è questa storia della «pazzia»? Ce n’è un gran parlare in tutte le lettere. Si oppone di continuo l’eterno tabù della «malattia mentale» all’improbabile traguardo di una chimerica «sanità fondamentale». Fagioli — lo ripetete fino all’ossessione — asserisce che «la malattia mentale esiste e distrugge gli esseri umani» e questo vi appare come una profonda innovazione nella teoria e un coraggioso rivolgimento nella prassi. Sospetto invece che, oltre al ben noto miscuglio tra psicoanalisi e lotta politica, sia questo lo strumento con cui vi tiene, agitandovi continuamente davanti lo spettro del baratro in cui, senza di lui, cadreste.

Credo infatti anch’io che la malattia mentale esista (lo crede ormai persino Giovanni Jervis) e ho sempre pensato che quella moda «antipsichiatrica» che ha visto i disturbi psichici come semplici emanazioni di situazioni sociali, sia stato uno dei prodotti della grande ubriacatura ideologica che ci ha, negli anni passati, travolti un po’ tutti. Ma, detto questo, che c’entrate voi con la pazzia? Chi vi ha messo in testa di essere a un passo dalla «distruzione psichica»? A quanto pare per lo «psichiatra» Fagioli non esistono stadi intermedi, la vasta gamma dei fenomeni psicopatologici, le nevrosi: da una parte la pazzia, dall’alta la «sanità fondamentale». Decenni di dibattito su quel labile confine che divide la «normalità» dalla patologia, non gli ha lasciato l’ombra di un dubbio.

Ho assistito a una delle vostre «sedute». Ho visto l’amore e la dedizione con cui vi rivolgete a Fagioli. Quel «Massimo. Massimo!» scandito a intervalli regolari con la drammaticità di un coro greco, è una supplica di aiuto che resta a lungo nella testa. Quando una di voi, vincendo sugli altri, ha preso la parola e impastando emozione e sofferenza ha raccontato il suo sogno, ho avvertito la sua richiesta di aiuto e rassicurazione. E «Massimo» gliel’ha subito data con la celerità e la disinvoltura che lo hanno reso celebre, ma con un più di canagliesco che — sebbene fossi preparata — non mi aspettavo.

La ragazza ha reso un’immagine tormentata e confusa: sulla mano le era spuntato un sesto dito, lo guarda e vede un lungo verme verde, mobile e viscido: inorridita, se lo strappa e lo getta via. Ma resta con l’ansia — che tuttora palesemente vive — che il gesto non sia servito, che presto nel buco lasciato dalla radice del verme, le spunti qualcosa di simile.

Neanche un attimo di esitazione per il «terapeuta»: si tratta, è ovvio, del caso di Giorgiana Masi. Il Potere — spiega più o meno Fagioli — vorrebbe togliere la lapide che le compagne hanno posto a Ponte Garibaldi. Tu hai fatto un sogno giusto. Non glielo permetteremo!

Così, sfruttando la commozione e l’indignazione con cui è ricordato l’assassinio di Giorgiana Masi, il dottore ha operato all’impronta una brillante sintesi tra «privato» e «politico», dando un saggio di quella «novità della teoria, diversità del metodo e della prassi» di cui parlava ‹Lotta Continua›. Ma il sollievo, l’immediata gratificazione di tutto il collettivo mi hanno purtroppo convinta che è proprio questo che in queste mortificanti «assemblea [sic!] dell’anima» si va a cercare. Io vi ho visto, invece, solo un esercizio di trucidazione dell’intelligenza e della dignità dei presenti.

Eppure non sono così «diversa». Non ho né potere né «posizioni da difendere». Riesco a capire il disagio che vi trascina da Fagioli, il bisogno di coniugare il «privato» più intimo al «politico» più esteso. Ho l’età e l’esperienza politica per esserci passata in mezzo. Se qualche fortunata circostanza mi ha permesso di non cadere in trappole facili e consolatorie, conservo la memoria di una situazione di conflitto, della confusa ricerca di scorciatoie liberatrici.

[A·24]• ~
Solo di questo ho scritto. L’ho fatto con la consapevolezza che stavo toccando angosce e sofferenze reali, ma anche con la determinazione di denunciare e — perché no? — ridicolizzare chi di queste angosce e sofferenze fa merce a esclusivo uso di potere personale.

Di altro non ho parlato e non sta a me risponderne.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — All’inizio dell’articolo, Stefania Rossini fa riferimento a un suo precedente articolo del 16/2 (qui) e a quello di Umberto Silva del 17/2 (qui). L’intervista di Fagioli su “Lotta Continua”, cui entrambi fanno riferimento, era stata pubblicata il 10/2 con il titolo ‹Inconscio mare calmo e liberazione umana› (qui).


[A·24]• Rispetto al testo originario, «[…] stavo toccando angoscie [sic!] e sofferenze reali […] chi di queste angoscie [sic!] e sofferenze fa merce […]», abbiamo normalizzato l’ortografia in “angosce”.

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[] https://associazioneamorepsiche.org/stampa/page/79/
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