2009·novembre - LeScienze • Hauser·M (mente umana, mente animale)

La mente


✩ (Arkbase)

ORIGINI | Per ricostruire come è emersa la mente umana, il primo passo è individuare ciò che distingue i nostri processi mentali da quelli di altre creature

IN SINTESI
  • Charles Darwin affermava che esiste una continuità tra la mente degli esseri umani e quella degli altri animali, un punto di vista ripreso e sostenuto anche dagli studiosi venuti dopo di lui.
  • Aumentano però le prove che il divario mentale che ci separa dalle altre specie è largo e profondo. L’autore di questo articolo ha individuato quattro caratteristiche esclusive dell’attività cognitiva umana.
  • L’origine e l’evoluzione di questi tratti mentali distintivi sono ancora in larga parte misteriosi [sic!], ma stanno via via emergendo indizi che ci possono aiutare a far luce sul problema.

[A·0·0]• ~?!
di Marc Hauser
Le Scienze, n. 495 — novembre 2009, pp. 74-79.


Qualche tempo fa, tre alieni scesero sulla Terra per indagare sulla presenza di vita intelligente. Uno era specializzato in ingegneria, uno in chimica e il terzo in scienze computazionali. Rivolgendosi ai colleghi, l’ingegnere disse: «Tutte le creature di questo pianeta sono solide e alcune presentano segmentazione. Hanno capacità di movimento sul terreno, nell’acqua o nell’aria. e sono tutte estremamente lente. Niente di speciale, insomma». Il chimico aggiunse: «Sono tutte molto simili, derivate da diverse sequenze di quattro ingredienti chimici». Poi venne l’opinione dell’informatico. «Le loro capacità di calcolo sono limitale. Ma c’è una creatura, il bipede implume, che non è come le altre. Scambia informazioni in modo primitivo e inefficiente ma notevolmente diverso da tutti gli altri. Costruisce molti strani oggetti, tra cui alcuni che si possono consumare, altri che producono simboli, e altri ancora che distruggono membri della sua stessa tribù». «Come può essere?», domandò l’ingegnere. «Date le somiglianze nella forma e nella chimica, come fanno ad avere capacità di calcolo diverse?». «Non ne sono sicuro», confessò l’esperto di calcolo. «Ma a quanto pare hanno un sistema per creare nuove espressioni che è infinitamente più potente di quelli di tutti gli altri tipi di esseri viventi. Propongo di classificare il bipede implume in un gruppo diverso dagli altri animali: deve avere un’origine diversa e provenire da un’altra galassia». Gli altri due alieni annuirono, e tutti e tre si teletrasportarono a casa a presentare rapporto.

Criticare i tre alieni per aver classificato gli esseri umani in una categoria separata rispetto ad api, uccelli, castori e bonobo sarebbe ingiusto. Dopo tutto la nostra specie è l’unica a creare soufflé, armi da fuoco, cosmetici, opere liriche, sculture, equazioni, leggi e religioni. Le api e i bonobo non solo non hanno mai cucinato un soufflé, ma neppure hanno mai contemplato la possibilità di farlo, perché non hanno un cervello dotato contemporaneamente di competenza tecnologica e creatività gastronomica.

[A·0·3]• ~±!?
In ‹L’origine dell’uomo› Charles Darwin sostenne che la differenza tra mente umana e menti non umane è «di grado e non di tipo». Gli studiosi hanno condiviso a lungo questo punto di vista, sottolineando in tempi recenti le prove genetiche che indicano che condividiamo circa il 98 per cento dei geni con gli scimpanzè. Ma se la nostra eredità genetica può spiegare le origini evolutive della mente umana, come mai non è uno scimpanzé a scrivere questo articolo, o a suonare con i Rolling Stones o a preparare un soufflé? In realtà, una massa crescente di prove indica che, in contrasto con la teoria di Darwin della continuità della mente fra l’uomo e le altre specie, c’è una profonda separazione tra il nostro intelletto e quello degli animali. Questo non significa che le nostre facoltà mentali siano saltate fuori dal nulla già pienamente formate. I ricercatori hanno individuato alcuni elementi costitutivi delle facoltà cognitive umane in altre specie. Questi elementi costitutivi, però, sono solo l’impronta [sic!] proiettata sul terreno da quel grattacielo che è la mente umana. Le origini evolutive delle nostre abilità cognitive rimangono quindi piuttosto nebulose. Un po’ di luce, però, sta arrivando da nuove intuizioni e tecniche sperimentali.


Singolarmente intelligenti


Se vogliamo arrivare a svelare il modo in cui ha avuto origine la mente umana, dobbiamo in primo luogo individuare esattamente ciò che la separa dalle menti delle altre specie. Benché gli esseri umani condividano gran parte dei geni con gli scimpanzé, vari studi fanno pensare che i sottili cambiamenti genetici avvenuti nella linea di discendenza umana dopo la separazione da quella degli scimpanzè abbiano prodotto massicce differenze nelle capacità di calcolo. Questi processi di riarrangiamento, cancellazione e copia di una serie di elementi genetici universali hanno prodotto un cervello che ha quattro proprietà speciali. Messe insieme, queste quattro caratteristiche distintive, che ho recentemente identificato in base a studi condotti nel mio laboratorio e in altre sedi, costituiscono quel che io chiamo ‹humanuniqueness› [il termine, coniato fondendo le parole inglesi ‹human› e ‹unique› con l’aggiunta del suffisso -‹ness›, che serve a ottenere un sostantivo da un aggettivo, potrebbe essere tradotto come «umanunicità», vale a dire la nostra unicità di esseri umani. N.d.T.].

Il primo di questi tratti è la computazione generativa, cioè la capacità di generare una varietà virtualmente illimitata di «espressioni», che si tratti di disporre parole, note musicali, combinazioni di azioni o stringhe di simboli matematici. La computazione generativa comprende due tipi di operazioni: ricorsive e combinatorie. Le operazioni ricorsive consistono nell’uso ripetuto di una regola per creare nuove espressioni. Si pensi a come sia possibile inserire una breve frase all’interno di un’altra frase, anche più di una volta, per creare nuove e più ricche descrizioni dei nostri pensieri. Per esempio la semplice ma poetica espressione di Gertrude Stein: «Una rosa è una rosa è una rosa». Le operazioni combinatorie, d’altro canto, consistono nel mescolare elementi separati e distinti per dar luogo a nuove idee, che possono essere espresse con nuove parole (come ‹walkman›, composto dalla parola inglese che significa «camminare» combinata con quella che significa «uomo») o con nuove forme musicali, o in molti altri modi.

[A·1·3]• ±!?
La seconda caratteristica distintiva della mente umana la sua capacità di combinare le idee in maniera promiscua. Per noi è del tutto normale collegare pensieri che provengono da domini di conoscenza diversi, il che ci permette di combinare le nostre concezioni dell’arte, del sesso, dello spazio, della causalità e dell’amicizia. Da queste mescolanze possono nascere nuove leggi, relazioni sociali e tecnologie, come quando decidiamo che è proibito [dominio morale] spingere [dominio dell’azione motoria] intenzionalmente [dominio della psicologia ingenua] una persona sotto un treno [dominio degli oggetti] per salvate la vita [dominio morale] di altre cinque [dominio aritmetico] persone.

[A·1·4]• ±!?
Al terzo posto della mia lista delle proprietà che ci definiscono c’è l’uso dei simboli mentali. Noi siamo in grado di convertire spontaneamente qualsiasi esperienza sensoriale — reale o immaginaria — in un simbolo, che poi possiamo tenere per noi o esprimere agli altri attraverso il linguaggio, l’arte, la musica o le righe di codice per computer.

[A·1·5]• ±!?
In quarto luogo, gli esseri umani sono i soli che si impegnano in forme di pensiero astratto. Contrariamente ai pensieri degli animali, ancorati in larga misura nell’esperienza sensoriale e percettiva, molti dei nostri pensieri non hanno alcuna chiara connessione con tali eventi. Solo noi ci mettiamo a ponderare su roba come alieni e unicorni, sostantivi e verbi, Dio e l’infinito.

Anche se c’è disaccordo fra gli antropologi su quando abbia esattamente preso forma la mente umana moderna, dalla documentazione archeologica è chiaro che in un arco di tempo relativamente breve della storia evolutiva si è verificata una trasformazione di grande rilievo, che ha avuto inizio circa 800.000 anni fa, nell’era Paleolitica, e ha avuto un crescendo intorno a 45.000-50.000 anni fa. È durante questo periodo, un battito di ciglia nei tempi dell’evoluzione, che vediamo per la prima volta attrezzi articolati in più parti; ossa di animali forate per farne strumenti musicali; sepolture con corredi che fanno pensare a gusti estetici e credenze in un aldilà; pitture rupestri ricche di simboli; e il controllo del fuoco, una tecnologia che combina le nostre concezioni ingenue della fisica e della psicologia, e che permise ai nostri antenati di affermarsi in ambienti nuovi assicurandosi il calore e cuocendo i cibi per renderli commestibili.

Queste reliquie del passato sono una straordinaria testimonianza dei tanti modi in cui i nostri antenati si sono sforzati di risolvere i nuovi problemi posti dall’ambiente e di esprimersi con creatività, modi che ne hanno poi segnato le specifiche e distinte identità culturali. Tuttavia, le testimonianze archeologiche rimarranno per sempre mute sulle origini e le pressioni selettive che hanno condotto ai quattro elementi di cui è costituita la nostra unicità di esseri umani. Le splendide pitture delle grotte di Lascaux, per esempio, indicano che i nostri antenati comprendevano la duplice natura delle immagini dipinte: che sono oggetti ma a loro volta si riferiscono ad altri oggetti ed eventi. Ma non ci dicono se quei pittori, e coloro che li ammiravano, esprimevano il loro apprezzamento estetico di quelle opere d’arte per mezzo di simboli organizzati in classi grammaticali (nomi, verbi, aggettivi) oppure se immaginavano di trasmettere quelle idee altrettanto bene mediante suoni o segni, a seconda del buon funzionamento dei loro apparati sensoriali. Analogamente, nessuno degli antichi strumenti musicali ritrovati — come i flauti di avorio e osso di 36.000 anni fa — ci racconta di come erano usati, se ripetendo più e più volte le stesse poche note, o invece incorporando ricorsivamente diversi temi l’uno dentro l’altro.

Ciò che possiamo dire con certezza è che tutti gli esseri umani, dai cacciatori-raccoglitori della savana africana agli agenti di borsa di Wall Street, dispongono fin dalla nascita dei quattro elementi che definiscono l’unicità degli esseri umani. Il modo in cui questi elementi si combinano a creare culture varia però considerevolmente da un gruppo all’altro. Le culture umane possono differire nella lingua, nelle composizioni musicali, nelle norme morali e negli artefatti. Dal punto di vista di una cultura, le pratiche di un’altra appaiono spesso bizzarre, a volte sgradevoli, di frequente incomprensibili e talora immorali. Nessun altro animale esibisce tanta varietà di stili di vita.

Gli altri animali sono però rilevanti per capire l’origine della mente umana. In effetti, l’unico modo per riuscire a ricostruire la storia della nostra ‹humanuniqueness› è capire quali delle nostre capacità sono condivise dagli altri animali e quali sono invece esclusivamente nostre.


Belle teste


Quando la più piccola delle mie figlie aveva tre anni, le chiesi cos’è che ci fa pensare. Lei puntò il dito verso la propria testa e disse: «Il cervello». Allora le domandai se anche gli altri animali avevano il cervello, cominciando dai cani e le scimmie, per poi passare agli uccelli e ai pesci. Lei rispose di sì. Quando però le chiesi della formica la risposta fu: «No. Troppo piccola».

Noi adulti sappiamo che le dimensioni non sono un buon indicatore per stabilire se un animale ha un cervello, anche se in effetti le dimensioni influiscono su alcuni aspetti della struttura cerebrale e, di conseguenza, del pensiero. E la ricerca ha mostrato che la maggior parte dei tipi cellulari presenti nel cervello, insieme ai relativi messaggeri chimici, sono gli stessi per tutti i vertebrati, esseri umani compresi. Per di più, l’organizzazione generale delle strutture dello strato più esterno del cervello, la corteccia cerebrale, è in larga misura la stessa nelle piccole scimmie, nelle grandi scimmie antropomorfe e negli esseri umani. In altre parole, gli esseri umani hanno un buon numero di caratteristiche cerebrali in comune con altre specie. Gli aspetti in cui invece siamo differenti sono la diversa dimensione di alcune regioni della corteccia e il modo in cui queste regioni si collegano tra loro: differenze che danno origine a pensieri che non hanno confronto in tutto il resto del regno animale.

In effetti, gli animali mostrano alcuni comportamenti raffinati e complessi che sembrano preannunciare le nostre capacità. Per esempio la capacità di produrre o modificare oggetti in vista di un particolare scopo. I maschi dell’uccello giardiniere costruiscono magnifiche strutture architettoniche di ramoscelli, e poi le decorano con piume, foglie e sassolini per attirare le femmine. I corvi della Nuova Caledonia ricavano dai fili d’erba una sorta di ami da pesca con cui catturano gli insetti. Alcuni scimpanzè sono stati visti servirsi di lance di legno per infilzare scimmie più piccole che si erano rifugiate nelle spaccature degli alberi. Inoltre, studi sperimentali condotti su diversi animali hanno rivelato l’esistenza di una fisica ingenua innata che permette di andare oltre l’esperienza diretta, generalizzandola fino a trovare nuove soluzioni. In uno di questi esperimenti, oranghi e scimpanzè posti di fronte a un cilindro di plastica fissato a una base, in fondo a cui c’era una nocciolina, sono riusciti a prendere il cibo riempiendosi la bocca d’acqua per poi sputarla nel cilindro, sollevando la nocciolina per galleggiamento fino all’orlo del recipiente.

[A·2·4]• ~!?
Gli animali esibiscono anche alcuni comportamenti sociali analoghi a quelli umani. Alcune formiche, più esperte, insegnano alle più giovani la strada per arrivare a risorse alimentari essenziali. I suricati addestrano i cuccioli nell’arte di smembrare gli scorpioni, letali ma buoni da mangiare. E una serie di studi recenti ha dimostrato che molti animali diversi tra loro protestano quando il cibo viene distribuito in modo ingiusto, mostrando quella che gli economisti chiamano «avversione all’iniquità». Ancora più importante è il fatto che un’ampia mole di dati dimostra che gli animali non sono imprigionati nei consueti comportamenti quotidiani quando si tratta di difendere il proprio posto nella gerarchia del gruppo, prendersi cura dei piccoli o cercare nuovi partner con cui allearsi o accoppiarsi. Essi sono anzi in grado di rispondere prontamente alle novità che si presentano nell’ambiente sociale, come quando un animale subordinato ma dotato di qualche abilità particolare di cui i suoi simili sono privi ottiene dei favori da parte di individui di posizione sociale superiore alla sua.

Queste osservazioni ispirano un senso di meraviglia per la bellezza delle soluzioni cui può giungere l’attività di «ricerca e sviluppo» della natura. Ma una volta superato questo brivido ci troviamo comunque di fronte all’ampio divario che separa gli esseri umani dalle altre specie. Per mostrare appieno l’estensione di questo divario, e le difficoltà che si incontrano nel tentativo di decifrare il modo in cui si è prodotto, vorrei ora descrivere più in dettaglio in che cosa consiste la ‹humanuniqueness›.


Distanze mentali


Uno dei più semplici strumenti umani, la matita, illustra bene l’eccezionale libertà della nostra mente in confronto alla limitata portata della cognizione animale. Noi teniamo in mano del legno dipinto, scriviamo con una mina e cancelliamo con una gomma fermata da un anello metallico. Quattro materiali diversi, ciascuno dei quali ha una sua particolare funzione, associati in un unico attrezzo. E, malgrado sia fatto per scrivere, quell’attrezzo può anche servire a fermare una crocchia di capelli, a fare da segnalibro, a infilzare un insetto molesto.

[A·3·2]• ~!?
Gli utensili degli animali, invece — come gli stecchi usati dagli scimpanzè per pescare le termiti dal termitaio — sono fatti di un solo materiale e per un unico scopo, e non sono mai usati per altre funzioni. Nessuno ha le proprietà combinatorie della matita. Un altro semplice attrezzo, il bicchiere telescopico che fa spesso parte dell’attrezzatura dei campeggiatori, ci offre un esempio della ricorsività in azione. Per costruirlo basta seguire una sola semplice regola — aggiungere all’ultimo segmento un segmento di dimensioni più grandi — e applicarla più volte fino a raggiungete la dimensione desiderata. Gli esseri umani usano operazioni ricorsive simili a queste praticamente in tutti gli aspetti della vita mentale, dal linguaggio alla musica, alla matematica, alla generazione di una gamma illimitata di movimenti da eseguire con gambe, braccia e bocca. Gli unici barlumi di ricorsività negli animali, invece, vengono dall’osservazione del modo in cui funzionano i loro sistemi motori.

Tutti gli esseri viventi sono dotati di apparecchiature motorie ricorsive come parte del loro normale equipaggiamento operativo. Per camminare, mettono un piede davanti all’altro, più e più volte. Per mangiare, afferrano un oggetto e lo portano alla bocca, ripetendo queste azioni finché lo stomaco non invia un segnale di arresto. Nella mente animale, questo sistema ricorsivo è confinato nelle regioni motorie del cervello e «spento» nelle altre zone cerebrali. Ciò suggerisce che un passo critico nell’acquisizione del nostro particolare tipo di pensiero possa essere stato non l’evoluzione della ricorsività come nuova forma di calcolo, ma la liberazione della ricorsività dalla prigione del dominio motorio, e il suo passaggio ad altri domini di pensiero. Il modo in cui è stata liberata da questa funzione restrittiva si lega a un altro dei nostri ingredienti — le interfacce promiscue — sulle quali mi soffermerò più avanti.

Il divario si allarga ancora quando confrontiamo il linguaggio umano con la comunicazione nelle altre specie. Come altri animali, gli esseri umani hanno un sistema di comunicazione non verbale che trasmette emozioni e motivazioni: le risatine e i gridolini dei bambini piccoli fanno patte di questo sistema. Gli esseri umani però sono i soli ad avere un sistema di comunicazione linguistica basato sulla manipolazione di simboli in cui ogni istanza di simbolo ricade in una categoria specifica e astratta come nome, verbo e aggettivo. Benché alcuni animali abbiano suoni che sembrano rappresentare qualcosa di più delle emozioni, e che trasmettono informazioni su oggetti ed eventi come il cibo, il sesso e la predazione, la gamma di quei suoni impallidisce rispetto alla nostra, nessuno di essi ricade nelle categorie astratte che strutturano le nostre espressioni linguistiche.

Questa affermazione richiede un chiarimento, perché suscita spesso un estremo scetticismo. Si potrebbe pensare, per esempio, che i vocabolari animali appaiano ristretti perché i ricercatori che li studiano non capiscono di cosa stanno parlando. Ma benché vi sia ancora molto da imparare sulle vocalizzazioni degli animali, e più in generale sulle loro comunicazioni, ritengo improbabile che l’insufficienza degli studi basti a spiegare il divario che ci separa. La maggior parte degli scambi vocali fra animali consiste in un unico grugnito, o pigolio, o grido, con un unico suono in risposta. È possibile che gli animali comprimano grandi quantità di informazione in un grugnito di 500 millisecondi, magari equivalente a «per piacere, spidocchiami la schiena lì in basso, che poi la spidocchio io a te». Ma allora perché mai noi umani avremmo sviluppato un sistema così arcano e verboso, se avremmo potuto cavarcela con un paio di grugniti?

Per di più, se anche ammettessimo che la danza oscillatoria dell’ape rappresenti simbolicamente il polline che si trova a un chilometro di distanza a nord e che le grida di allarme del cercopiteco nasobianco maggiore rappresentino simbolicamente vari predatori, questo uso dei simboli differisce dal nostro in almeno cinque modi essenziali: è scatenato solo da oggetti o eventi reali, e mai da oggetti o eventi immaginari; è limitato al presente; non fa parte di uno schema di classificazione più astratto, come quello che organizza le nostre parole in nomi, verbi e aggettivi; è raro che sia combinato con altri simboli e, quando lo è, le combinazioni sono limitate a stringhe di due elementi, senza regole; ed è legato in maniera fissa a particolari contesti.

Il linguaggio umano è inoltre notevole — e interamente diverso dai sistemi comunicativi di altri animali – perché funziona bene in modalità sia visiva sia uditiva. Se un uccello canterino perde la voce, o un’ape la capacità di compiere i movimenti oscillatori della danza, la loro attività di comunicazione cessa. Quando un essere umano è sordo, invece, il linguaggio dei segni offre un metodo di comunicazione altrettanto espressivo.

Le nostre conoscenze linguistiche, insieme alla capacità di calcolo che richiedono, interagiscono anche con altri domini di conoscenza in vari affascinanti modi che riflettono in maniera nettissima la nostra capacità esclusivamente umana di operare connessioni promiscue tra sistemi di comprensione diversi. Prendiamo la capacità di quantificare oggetti ed eventi, capacità che condividiamo con altri animali. Molte specie hanno almeno due abilità non linguistiche per contare. Una è precisa e limitata ai numeri inferiori a quattro. L’altra illimitata nella portata, ma approssimativa quanto a discriminazione e si limita solo ad alcuni rapporti: un animale capace di distinguere l’uno dal due, per esempio, può anche discriminare il due dal quattro, il 16 dal 32 e così via. Il primo sistema è ancorato a una regione cerebrale coinvolta nel tenere traccia degli individui, mentre l’altro è ancorato in regioni cerebrali che calcolano la grandezza delle cose.

Lo scorso anno i miei colleghi e io abbiamo descritto un terzo sistema di conteggio nei macachi rhesus che può aiutarci a capire le origini della capacità umana di segnare la differenza tra singolare e plurale. Il sistema opera quando gli individui vedono insiemi di oggetti presentati contemporaneamente — e non uno alla volta — e fa sì che i macachi distinguano un oggetto commestibile da molti, ma non molti da molti. Nel nostro esperimento abbiamo mostrato ad alcuni macachi rhesus una mela che abbiamo poi messo in una scatola, poi abbiamo mostrato cinque mele e le abbiamo messe tutte e cinque in una seconda scatola: le scimmie sceglievano costantemente la seconda scatola. Quando però abbiamo messo due mele nella prima scatola e cinque nell’altra, le scimmie hanno scelto indifferentemente l’una o l’altra, senza mostrare preferenze.

[A·3·10]• ±!?
Ma quando il sistema linguistico umano si connette a questo sistema più antico, succede qualcosa di particolare. Per capire come, provate a fare questo esercizio: dati i numeri 0, 0,2 e -5, accostare a essi la parola più appropriata: sceglierete «mela» o «mele»? Se siete come la maggior parte delle persone, compresi i bambini piccoli, avete scelto la parola «mele». In effetti, avreste scelto «mele» anche per il numero «1,0». Questa non è una regola che abbiamo imparato a scuola, e in effetti, strettamente parlando, non è grammaticalmente corretta. Però fa parte di una regola grammaticale universale che solo noi umani abbiamo fin dalla nascita. È una regola semplice ma astratta: tutto ciò che non è «1» va al plurale.

L’esempio delle mele mostra in che modo sistemi diversi — diverse sintassi e concetti di insiemi — interagiscono producendo nuovi modi di pensare il mondo o intorno al mondo. Ma il processo creativo negli esseri umani non si ferma qui. Noi applichiamo il nostro linguaggio e i nostri sistemi numerici a questioni morali (salvare cinque persone è meglio che salvarne una), economiche (se ricevo 10 dollari in regalo e te ne offro solo uno ti sembrerà un’ingiustizia e rifiuterai l’offerta) e a transazioni proibite (vendere un figlio, anche in cambio di molti soldi, è una cosa che non si fa).


Pensieri alieni


Dai suricati didattici alle scimmie che odiano le ingiustizie, vale sempre la stessa osservazione: in ciascuno di questi animali si è evoluta una mente che è ben adattata a problemi specifici, ed è quindi limitata quando si tratta di applicare le sue abilità a problemi nuovi. Non è così per noi bipedi implumi. Una volta presente, la mente moderna ha permesso ai nostri antenati di esplorare parti della Terra fino ad allora disabitate, di generare un linguaggio per descrivere eventi nuovi e di immaginare una vita dopo la morte.

Le radici delle nostre capacità cognitive sono ancora in gran parte ignote, ma una volta individuati gli ingredienti della mente umana ora si sa che cosa cercare. A tal fine, spero che la neurobiologia si rivelerà illuminante. Malgrado non si sia ancora capito in che modo i geni costruiscano cervelli, e come faccia l’attività elettrica nel cervello a costruire pensieri ed emozioni, oggi siamo testimoni di una rivoluzione nelle scienze della mente che arriverà a colmare questi spazi vuoti.

Per esempio lo studio di animali chimerici — in cui i circuiti cerebrali di un individuo di una specie sono trapiantati in uno di un’altra — sta contribuendo a svelare come è configurato il cervello. E gli esperimenti con animali geneticamente modificati stanno portando alla luce geni che svolgono un ruolo nel linguaggio e in altri processi sociali. Questi risultati non ci rivelano nulla su ciò che fanno le nostre cellule nervose per darci le nostre capacità mentali senza pari: però servono a darci una mappa della strada da seguire per continuare a indagare su di essi.

Tuttavia, per ora non abbiamo altra scelta che ammettere che la nostra mente è assai diversa perfino da quella del primate a noi più vicino e che non sappiamo granché su come si sia prodotta questa differenza. Uno scimpanzè sarebbe in grado di escogitare un esperimento per studiare gli esseri umani? Potrebbe mai immaginare come sarebbe per noi risolvere uno dei loro problemi? No, e ancora no. Benché gli scimpanzè siano in grado di vedere ciò che facciamo, non arrivano a immaginare ciò che pensiamo o sentiamo perché mancano del necessario macchinario cerebrale. Anche se gli scimpanzé e altri animali sembrano capaci di pianificare e di tener conto sia delle esperienze del passato sia delle opzioni del futuro, non c’è alcuna prova che pensino in termini controfattuali, immaginando mondi che sono stati o che avrebbero potuto essere. Noi umani lo facciamo tutto il tempo, e lo abbiamo fatto da quando il nostro ben distinto genoma ha dato origine alla nostra ben distinta mente. I nostri sistemi morali hanno per premessa questa capacità mentale.

È possibile che le nostre ineguagliabili menti abbiano raggiunto il limite massimo della potenza? Per ogni forma di espressione umana — comprese le lingue, le composizioni musicali, le norme morali e le forme tecnologiche — ho il sospetto che non siamo in grado di esaurire lo spazio totale delle possibilità. Vi sono significative limitazioni alla nostra capacità di immaginare delle alternative.

Se le nostre menti si trovano di fronte a vincoli intrinseci su ciò che possono concepire, allora il concetto di «pensare fuori dagli schemi» è completamente sbagliato. Siamo sempre dentro uno schema. Come lo scimpanzè non può immaginare che significa essere un uomo, così gli esseri umani non sono in grado di immaginare che significhi essere un alieno intelligente. Per quanto si cerchi di uscirne, siamo bloccati dentro quella scatola chiusa che chiamiamo mente umana. La sola via passa attraverso il rivoluzionario rimodellamento del nostro genoma in grado di scolpire nuove connessioni nervose e dar vita a nuove strutture neurali. Questo tipo di cambiamento darebbe luogo a una mente di nuovo tipo, che guarderebbe ai suoi antenati come noi ai nostri: con rispetto, curiosità e il senso di essere soli, esseri senza pari in un mondo di menti semplici.


Gli ingredienti chiave della mente umana


I quattro tratti elencati di seguito distinguono la mente umana da quelle animali. Per scoprire le origini della nostra mente bisognerà spiegare in che modo sono emerse queste proprietà distintive.

La computazione generativa consente agli esseri umani di creare una varietà virtualmente illimitata di parole, concetti e oggetti. Questa caratteristica abbraccia due tipi di operazioni: le operazioni ricorsive e quelle combinatorie. Ricorsivo è l’uso ripetuto di una regola per generare nuove espressioni. Un’operazione combinatoria è la mescolanza di elementi discreti per generare nuove idee.

La combinazione promiscua delle idee permette la mescolanza di domini di conoscenza diversi — come arte, sesso, spazio, causalità e amicizia — generando grazie a essa nuove leggi, relazioni sociali e tecnologie.

I simboli mentali codificano esperienze sensoriali sia reali che immaginate, e fanno da base a un ricco e complesso sistema di comunicazione. Questi simboli possono essere tenuti per sé o essere comunicati ad altri sotto forma di parole o immagini.

[Q·5]• ±~?
Il pensiero astratto permette di riflettere su cose che vanno al là di ciò che possiamo sentire, udire, toccare, assaggiare o annusare.


L’autore


[R·1]• ~±?
Marc Hauser è professore di psicologia, biologia evoluzionistica umana e biologia evoluzionistica e [sic!] degli organismi alla Harvard University. Studia i fondamenti, in termini di evoluzione e di biologia dello sviluppo, della mente umana, con lo scopo di determinare quali capacità mentali gli esseri umani hanno in comune con altri animali non umani e quali siano invece esclusivamente nostre.



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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Dei 4 ingredienti che secondo Hauser distinguerebbero la mente umana da quella animale, neppure uno sembra riguardare il sonno: i “simboli mentali”, gli unici che potrebbero avvicinarsi all’attività onirica, codificano – sempre secondo l’autore – esperienze sensoriali, sia reali che immaginarie (non è ben chiaro cosa l’autore includa entro questo termine), ma in ogni caso non sognate. Ne consegue che l’essere umano sarebbe tale soltanto da sveglio, mentre quando dorme niente lo distinguerebbe da un animale qualsiasi. Analogo dubbio ci assale riguardo al neonato e al lattante, per quanto Hauser più d’una volta affermi che l’essere umano possiede queste caratteristiche “fin dalla nascita”; in verità non è chiaro cosa intenda per “nascita” (appena nati avremmo già pensiero astratto, e computazione generativa?); né si chiede come e perché queste caratteristiche comparirebbero d’improvviso “alla nascita”; l’essere umano verrebbe al mondo con una mente già dotata di tutti gli elementi fondamentali, e i lunghi anni necessari allo sviluppo riguarderebbero soltanto la realtà fisica del corpo?


[A·0·0]• Nel testo evidenziato originario, nella pagina del titolo, «L’origine e l’evoluzione di questi tratti mentali distintivi sono ancora in larga parte misteriosi [sic!] […]», dovrebbero essere “misteriose”, considerato che tanto “l’origine” quanto “l’evoluzione” sono sostantivi femminili – si tratta verosimilmente di un refuso o di una svista del traduttore (la concordanza “a senso” è con “tratti mentali”), dato che in inglese gli aggettivi sono privi di genere – lasciamo marcato con [sic!].
NOTA: gli scimpanzè avranno pure una mente meno sofisticata, ma almeno sono al riparo da questo tipo di errori.

[A·0·3]• Nel testo originario, «Questi elementi […] sono solo l’impronta [sic!] proiettata sul terreno da quel grattacielo […]», più che “l’impronta”, ad esser “proiettata” dovrebbe essere l’ombra; un problema di traduzione? – lasciamo marcato con [sic!].

[A·1·3]• «[…] capacità di combinare le idee in maniera promiscua. […] collegare pensieri che provengono da domini di conoscenza diversi […]»: ma non saremo forse gli unici a catalogare idee e pensieri in “domini” diversi? – magari per poterci poi gloriare della nostra capacità di combinali?

[A·1·4]• «[…] siamo in grado di convertire spontaneamente qualsiasi esperienza sensoriale — reale o immaginaria — in un simbolo […]»: pare un’affermazione un tantino azzardata; quante volte non troviamo le parole per descrivere esattamente ciò che proviamo? Le sensazioni di caldo-freddo, pesantezza-leggerezza, forza-debolezza, solo per fare alcuni esempi, hanno infinite gradazioni, mentre i simboli verbali che usiamo per descriverle sono piuttosto grossolani.
NOTA: poi perché Hauser parla di “esperienze sensoriali”? e i ricordi, le emozioni, i desideri, i sogni? E perché scrive “simboli” e non “parole”? ha forse in mente i segnali stradali, i bollini sui prodotti in commercio, le “emoticons”?

[A·1·5]• «Solo noi ci mettiamo a ponderare su roba come alieni e unicorni, sostantivi e verbi, Dio e l’infinito»: però tra “sostantivi e verbi” e “Dio e l’infinito” ci pare esista una differenza essenziale, se non altro riguardo al grado di astrattezza: di sostantivi e verbi possiamo fare degli esempi concreti, di Dio e infinito no – oppure sì? – comunque, Hauser non s’interroga su quale possa essere l’origine di questi concetti “astratti”, o quantomeno con ce ne mette a parte.

[A·2·4]• Nel testo originario, «[…] quando si tratta di difendere il proprio posto nella gerarchia del gruppo [sic!] prendersi cura dei piccoli […]», manca verosimilmente una virgola – probabile refuso, omissione in fase di traduzione o di stesura del testo originale – virgola inserita per facilitare e rendere più scorrevole la lettura.

[A·3·2]• Nel testo originario, «[…] dal linguaggio alla musica, alla matematica [sic!] alla generazione di una gamma illimitata di movimenti […]», anche qui manca verosimilmente una virgola – probabile refuso, omissione in fase di traduzione o di stesura del testo originale – oppure doveva essere “dalla matematica…”; virgola inserita per fluidificare la lettura.

[A·3·10]• «[…] una regola grammaticale universale che solo noi umani abbiamo fin dalla nascita. […] tutto ciò che non è “1” va al plurale»: pare un’affermazione piuttosto discutibile; ad esempio, in italiano si dice “mezza mela” (e verosimilmente anche in inglese: “half an apple”?).

[Q·5]• «[…] ciò che possiamo sentire, udire, toccare, assaggiare o annusare»: avremmo dato per scontato che qui ci si riferisse ai famosi “cinque sensi”, ma stranamente proprio la vista, quello che viene comunemente reputato (almeno per noi esseri umani) il più importante, nell’elenco non compare; compaiono invece due “quasi sinonimi”: “sentire” e “udire” – a meno che il “sentire” non alluda a un misterioso “sesto senso”… ma perché omettere la vista? – forse si tratta si una banale svista.

[R·1]• «[…] professore di […] biologia evoluzionistica umana e biologia evoluzionistica e [sic!] degli organismi […]»: anche questo ha tutta l’aria di un pasticcio nell’editing; ovviamente la “biologia” non può che riguardare gli “organismi”, e comunque c’è almeno una “e” di troppo; “biologia evoluzionistica” sarebbe stato più che sufficiente, riguardando per definizione l’uomo, gli animali, le piante e tutti gli organismi non compresi in queste categorie; lasciamo marcato con [sic!].

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