2010·08·12 - CorSera • Antiseri·D (Platone totalitario)

Platone è totalitario, va corretto


✩ (Arkbase)

Temi — Comunisti e nazisti l’hanno considerato un maestro.

Popper ha ragione: filosofi e politici non possiedono la verità

di Dario Antiseri
Corriere della Sera - Archivio storico — 12/8/2010 (12 agosto 2010), p. 36.


Sebbene la caduta del Muro di Berlino abbia ormai sepolto, tra cose di gran lunga più importanti, anche gli insulti al Popper «critico di Marx», continua però a non placarsi, e di continuo riemerge, la disputa sul Popper «interprete di Platone» (si vedano, al riguardo, le riflessioni di Mario Vegetti sul «Corriere della Sera» del primo agosto e, sullo stesso giornale, la nota del 6 agosto a firma di Mario Andrea Rigoni). Popper è esplicito nel considerare Platone il più grande di tutti i filosofi. Ma è altrettanto chiaro nel ritenere che grandi uomini possono commettere grandi errori. E il grande errore di Platone fu quello di offrire «argomenti seducenti e profondi a favore del perenne attacco contro la libertà e la ragione». Questa è la tesi sostenuta da Popper nel primo volume de ‹La società aperta e i suoi nemici› dedicato, appunto, a Platone totalitario.

Il filosofo-re di Platone sa che cosa è il Bene e cosa è il Male ed è pertanto divorato dallo zelo di eliminare il Male e di imporre il Bene con ogni mezzo e a ogni costo — con la soppressione del libero pensiero, la difesa della menzogna, l’intrusione dell’autorità politica anche nei più remoti angoli della vita privata e, alla fine, con il ricorso alla violenza. In breve: «Il programma politico di Platone è un programma che, lungi dall’essere moralmente superiore al totalitarismo, è fondamentalmente identico ad esso». Il sapiente di Socrate è colui che sa di non sapere; il sapiente di Platone, invece, è colui che sa di sapere. Platone, insomma, tradì Socrate, fu il suo Giuda. Già subito dopo la sua pubblicazione, il Platone totalitario di Popper fu fatto bersaglio di attacchi anche durissimi da parte di eminenti studiosi di filosofia. Sarà qui sufficiente ricordare l’‹Antisthenes redivivus› di G. J. D. de Vries (1952); le 645 fittissime pagine del lavoro ‹In Defence of Plato› di R. B. Levinson (1957); o anche il libro ‹Plato’s Modern Enemies and the Theory of Natural Law› (1953) di J. Wild, la cui conclusione è che «la diffusa opinione secondo cui il pensiero platonico sia sostanzialmente un pensiero avverso a tutti i moderni ideali progressisti è il risultato di una tragica incomprensione».

Da noi, in Italia, se per Margherita Isnardi Parente «l’antidemocrazia della ‹Repubblica› è metapolitica e metempirica» e la concezione di Popper è «una deformazione modernizzante di Platone», per Giovanni Reale, se si pretende di leggere la ‹Repubblica› in funzione delle categorie delle moderne ideologie politiche, «si tradisce il significato più autentico del discorso politico di Platone, che non è soltanto ideologico, ma è soprattutto filosofia, metafisica e perfino escatologia dello Stato. Dunque la corretta prospettiva di lettura della ‹Repubblica› resta la seguente: Platone vuole conoscere e formare lo Stato perfetto per conoscere e per formare l’uomo perfetto».

Ora, però, dinanzi a siffatta conclusione, non può non sorgere una domanda che, con la più sincera stima e con ormai antica amicizia, rivolgo a Giovanni Reale: non ti pare che voler conoscere e formare lo «Stato perfetto» per conoscere e formare «l’uomo perfetto» costituisca il nucleo di quella presunzione fatale che è a base di ogni concezione totalitaria? In ogni caso, fu nel 1983 che Gadamer, nel saggio ‹Il pensiero di Platone nelle utopie›, ha sostenuto che Popper non ha compreso Platone per la ragione che non si sarebbe reso conto del genere letterario — che è quello della «costruzione satirico-utopica» — in cui sono scritte sia la ‹Repubblica› sia le ‹Leggi›. Non è possibile comprendere Platone se non si capisce che il genere letterario dell’utopia, il «pensare nelle utopie», non equivale alla progettazione, in vista di una sua realizzazione, di un ideale Stato perfetto, ma è piuttosto una critica indiretta, una «allusione da lontano» allo stato di cose esistente. In altri termini, si fantastica degli Stati della Luna per criticare situazioni insoddisfacenti sulla Terra. Questa, dunque, la ragione principale per cui, ad avviso di Gadamer, l’interpretazione di Platone proposta da Popper sarebbe errata.

[A·5]• ~?
Ma, in ogni caso, Gadamer è pronto a riconoscere — sempre ne ‹Il pensiero di Platone nelle utopie› — che «il contributo di Popper rientra in una grande tradizione che da Hobbes e Grozio attraverso il positivismo e Hegel e i filologi viennesi del livello di Theodor e Heinrich Gomperz (ma pure Toynbee rientra in questa linea) porta sino a Popper». In realtà, nel ‹Compendio di storia della filosofia greca›, Eduard Zeller asserisce che «la costituzione dello Stato platonico è aristocratica, governo assoluto degli intendenti, dei filosofi, non limitato da alcuna legge». Da parte sua, Theodor Gomperz, nella monumentale opera ‹Pensatori greci›, fa notare che alla classe dei dominatori Platone accorda «una potenza senza limiti». E sarà Max Pohlenz a dire ne ‹L’uomo greco› che, «poiché i filosofi sono i soli a disporre anche del sapere necessario all’uomo di governo per assicurare a tutta la cittadinanza prosperità, pace ed eudaimonia, sarebbe assurdo limitarli nell’esercizio delle loro mansioni con un corpo di leggi». Interpretazioni analoghe a queste richiamate le ritroviamo in altri studiosi di Platone come G. Grote, R. H. Crosman [sic!] e A. D. Winspear. E se Werner Fite (‹Platonic Legend›, 1939) ha condotto una interessante analisi sulla volontà di potenza che emerge dagli scritti di Platone, tale analisi trova sviluppi di sorprendente acutezza e durezza in tre saggi di Hans Kelsen: ‹La giustizia platonica› (1933); ‹L’amore platonico› (1933) e ‹La verità platonica› (1936).

«La mistica di Platone — scrive Kelsen — costituisce la giustificazione della sua politica antidemocratica, l’ideologia di ogni autocrazia». Il filosofo-re «è il solo a conoscere la giustizia», ragion per cui «può e deve guidare i suoi sottoposti ed esigere da loro un’obbedienza incondizionata». Tutto ciò semplicemente per ribadire che l’interpretazione popperiana di Platone si situa all’interno di una consolidata e rispettabilissima tradizione di storiografia filosofica. Certo, si tratta pur sempre di una interpretazione e, quindi, in quanto tale, falsificabile, contestabile, come ogni altra teoria scientifica. Ma viene da chiedere: è solo un puro caso che a Mosca, nella stele in cui vengono elencati i grandi pensatori comunisti, Platone figuri al primo posto? Ed è davvero irrilevante il fatto che influenti intellettuali nazisti come H. A. Grunsky, H. Guenther e Theodor von der Pfordten abbiano visto in Platone — e non, per esempio, in Locke, Hume o Kant — la sorgente delle loro nefaste idee sulla razza e sullo Stato onnipotente? E, da ultimo, una domanda a un altro mio vecchio amico, noto studioso di filosofia antica, Enrico Berti: è davvero priva di ogni fondamento, campata per aria, l’interpretazione che Marino Gentile, il tuo maestro, dette di Platone nel 1940 nel suo libro ‹La politica di Platone›?


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — da completare.

NOTA: il testo non è più disponibile all’indirizzo – l’archivio storico del Corriere, come indicato in calce a questa pagina – dal quale era stato tratto.


[A·5]• Nel testo originario, «[…] altri studiosi di Platone come G. Grote, R. H. Crosman [sic!] e […]», si tratta forse di R.H.S. Crossman (con la doppia ‘s’!), autore di ‹Government and the Governed. History of Political Ideas and Political Practice› (1947); nell’incertezza, lasciamo marcato con [sic!].

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[] http://archiviostorico.corriere.it/2010/agosto/12/ Platone_totalitario_corretto_co_9_100812035.shtml
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