2016·11·13 - CorLettura • Boitani DiCesare Tonelli • Ulisse fonda l’Occidente

Ulisse fonda l’Occidente

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Miti | Un critico letterario, una filosofa e uno scienziato discutono sul re di Itaca, figura centrale della nostra civiltà. Le diverse versioni di Omero e di Dante, le letture prodotte dalla modernità
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Audace curiosità, amore per le radici
Ma anche il rifiuto di porsi dei limiti
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Donatella Di Cesare: smanioso di vivere, avido di gustare tutto, di sentire, di provare, l’eroe non si mette mai davvero in gioco
Guido Tonelli: questo vale per la Commedia, non per l’Odissea perché il protagonista rifiuta l’offerta d’immortalità di Calipso
Piero Boitani: Platone gli fa scegliere di reincarnarsi in un uomo comune, una sorta di predecessore del Leopold Bloom di Joyce
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Perseguitato • Boitani: viaggia perché costretto da Poseidone ma non rifiuta mai nuove esperienze
Superbo • Di Cesare: il suo ardire sconfina nell’arroganza e a volte nella prevaricazione
Esploratore • Tonelli: sfida l’ignoto come noi fisici impegnati a scrutare i segreti dell’universo
Appassionato • Boitani: ansioso di sapere, non è un colonizzatore, perciò è molto diverso da Enea
Solitario • Di Cesare: è un soggetto che non condivide con gli altri le scoperte da lui compiute
Carnale • Tonelli: la patria dove desidera tornare sono in primo luogo i corpi dei suoi cari
Felice • Boitani: quando riabbraccia Penelope i due sposi diventano una cosa sola
Turista • Di Cesare: Itaca resta sempre il suo orizzonte, ha una prospettiva «eurocentrica»
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Le illustrazioni di questa e delle prossime pagine sono di Marco Cazzato
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conversazione tra Piero Boitani, Donatella Di Cesare e Guido Tonelli
Corriere – La Lettura — 13/11/2016 (domenica 13 novembre 2016), pp. 45-47.




Donatella Di Cesare — La nostra discussione parte dal nuovo volume di Piero Boitani, ‹Il grande racconto di Ulisse› (il Mulino). Un libro prezioso non solo per le splendide immagini e le raffinate riproduzioni artistiche che contiene, ma anche e soprattutto perché ripercorre l’avventura culturale del personaggio forse più avvincente e suggestivo dell’Occidente, ne ricostruisce la «storia degli effetti», il modo in cui Ulisse è stato accolto, letto, interpretato nel corso delle epoche e nelle parti più lontane del globo, ben oltre le Colonne d’Ercole. Nell’incontro sincretico con civiltà diverse, nell’esegesi offerta dall’arte e dalla letteratura, il suo ritratto assume caratteri insospettati, la sua figura si arricchisce e si complica. Ulisse, l’antesignano di tutti gli esploratori, l’eroe della conoscenza, come Dante lo descrive e lo canta, ha d’altronde sempre ossessionato Boitani. Possiamo considerare questa sua opera quasi come un punto d’arrivo?

Piero Boitani — Non si arriva mai: il fascino della figura di Ulisse, del resto, è consistito per me, almeno dall’infanzia e dall’adolescenza, nel suo viaggiare per mare e nel suo esplorare terre nuove. Ho sempre visto il protagonista dell’‹Odissea› come intimamente legato al personaggio di Dante: i due sono separati da tante cose, ma anche uniti da molte. Per esempio, i germi del desiderio di conoscenza che contraddistingue l’Ulisse di Dante sono già presenti nell’Odisseo omerico, il quale è sì ‹costretto› a viaggiare errabondo sul mare dall’ira di Poseidone, ma non rifiuta mai di fare esperienza del nuovo: così all’arrivo nell’isola dei Ciclopi, mentre i compagni lo esortano a ripartire, Odisseo vuole scoprire chi vi abita, e più tardi vuole ascoltare il canto delle Sirene. Dante non fa che sviluppare questa caratteristica portandola all’estremo, a una ‹libido sciendi› fortissima, un desiderio di conoscenza che il suo Ulisse chiama egli stesso «ardore». Mi interessa particolarmente, su questo, il punto di vista di uno scienziato come Guido Tonelli.

Guido Tonelli — L’Odisseo curioso, il viaggiatore accorto e paziente, consapevole dei rischi del viaggio, è una figura di grande attualità. Uso il termine omerico proprio per indicare l’Ulisse dell’‹Odissea›. La scienza moderna è una grande avventura collettiva. Gli enormi apparati sperimentali del Large Hadron Collider del Cern di Ginevra dove lavoro sono le nostre ‹navi›; il viaggio che facciamo ci porta verso l’ignoto, un ‹non-luogo› del ‹non-tempo› da cui 13,8 miliardi di anni fa è nato tutto. Abbiamo teorie e carte che ci guidano, ma spesso il caso ci conduce in luoghi sconosciuti; abbiamo ‹navi› curate in tutti i particolari, ma basta trascurare un minimo dettaglio e la catastrofe si abbatte su di noi. La nostra ‹ciurma› è una comunità colorata e turbolenta di migliaia di menti appassionate, moderni esploratori pazienti e curiosi, pronti, come Odisseo, ad adottare stratagemmi per superare gli imprevisti.

Piero Boitani — Analogie come quella che lei evoca hanno una lunga storia. La connessione tra Ulisse e l’esploratore moderno, quello del Rinascimento e poi dell’Ottocento e del Novecento, è esplicita. La stabiliscono non soltanto i poeti (come Torquato Tasso, che vede in Ulisse, quello di Dante, il precursore di Cristoforo Colombo) e gli interpreti della ‹Commedia›, ma anche i navigatori stessi: Amerigo Vespucci pensa a Ulisse quando percorre le acque dell’oceano, e più tardi lo farà anche lo spagnolo Pedro Sarmiento de Gamboa: il quale è persona che ha studiato e, riprendendo gli antichi e Dante, sostiene che Ulisse, dopo aver fondato Lisbona (Ulixabona), abbia attraversato l’Atlantico e fondato la Nuova Spagna. Nell’Ottocento e nel Novecento, il modello sarà l’Ulisse di Alfred Tennyson; e gli esploratori inglesi, sino a Ernest Shackleton quando percorre faticosamente l’Antartide al seguito di Robert Scott, penseranno a quell’Ulisse come loro precursore. Ecco, questo Ulisse — quello di Dante e di Tennyson, ma poi anche di Joseph Conrad e di tanti altri — è il modello europeo, o occidentale, di uomo: l’uomo che vuole conoscere il mondo. Attenzione, ‹non› conquistare e colonizzare, compiti ai quali provvedono, in ambito mitico, piuttosto Enea, e persino Giosuè alla conquista della Terra Promessa.

Donatella Di Cesare — Tuttavia oggi che la terra è stata scoperta, circumnavigata, percorsa, occupata in tutta la sua rotondità, oggi che non resta quasi più un lembo da perlustrare, mentre il pianeta appare sempre più un astro trasparente, non si può non rivolgere uno sguardo critico a Ulisse e a tutto ciò che questo campione dell’Occidente rappresenta. Come se, giungendo al culmine la globalizzazione, cominciasse anche a sgretolarsi il mito di Ulisse. Malgrado tutto il suo fascino, chi può ancora identificarsi immediatamente con il protagonista del rischio elevato a forma di vita, il paladino della curiosità, insieme razionale eppure estrema, senza pensare agli effetti negativi prodotti da un certo tipo di conoscenza sul mondo circostante e sugli altri? Non si tratta solo della lussuria del sapere, che è anche brama del potere, di una certa ‹hybris›, della superba e ostinata fede nelle proprie forze e nei propri propositi, che può sconfinare nella tracotanza e nella prevaricazione. A ciò aveva rinviato già Dante. Forse Tonelli ci dirà che Ulisse ha gli «anticorpi» per resistere alle sirene che lo attraggono verso l’illimitato, che lo spingono a superare un limite dopo l’altro in modo convulso e irrefrenabile. Ma proprio la presenza di questi «anticorpi» è smentita dall’odissea occidentale. E speriamo che la conquista dello spazio, cominciata già da anni, non avvenga con le stesse modalità.

[A·6]• ±?
Guido Tonelli — L’obiezione è in gran parte fondata. Senza dubbio l’Ulisse dantesco è divorato dalla libido della conoscenza, desidera soltanto lanciarsi nel ‹folle volo›. È un personaggio forse emblematico di quell’aristotelismo radicale da cui Dante era stato affascinato in gioventù, e dal quale nella ‹Commedia› voleva prendere le distanze. Ulisse che vuole andare nel «mondo sanza gente» è come prigioniero di un mortifero sempre-desiderare, di una sete di conoscenza come coazione a ripetere all’infinito, fino alla perdizione. È questo l’Ulisse che ha segnato di più l’immaginario collettivo fino a diventare paradigmatico di una scienza che non accetta limiti ed è proprio per questo che non mi ci riconosco. Vi ritrovo il seme della moderna follia di una società dominata dal narcisismo, che rifiuta i propri limiti e cerca di cancellare la morte inseguendo il sogno dell’immortalità. È una rassicurante trappola infantile, nella quale cadono in molti, travolti da una specie di delirio di onnipotenza, ma non rappresenta la parte più critica e avanzata della ricerca scientifica moderna.

[A·7]• ±?
Piero Boitani — Su questo a mio avviso bisogna distinguere. Mentre l’Ulisse di Dante e della tradizione che a lui risale tende a travolgere ogni limite, sia esso costituito dalle Colonne d’Ercole o dalla morte stessa (visto che «a questa tanto picciola vigilia» egli vuole ancora fare esperienza del «mondo sanza gente»), e forse per questo è condannato dal Dio cristiano al naufragio («com’altrui piacque»), l’Odisseo di Omero conosce bene la soglia prima della quale si deve fermare se vuole sopravvivere: quando gli viene ingiunto da Tiresia di non toccare gli armenti sacri al Sole se desidera tornare a casa, Odisseo si guarda bene dall’attaccarli, mentre i suoi compagni, che ne fanno strage per mangiare, non tornano a Itaca vivi: nessuno.

Donatella Di Cesare — Vorrei tornare sul modello di conoscenza rappresentato da Ulisse. La questione non è puramente quantitativa: non si tratta di un eccesso a cui si possa rimediare. Qui c’è un soggetto che fronteggia il mondo da solo, per sperimentarlo e conoscerlo; ma la conoscenza non è condivisa e sin dall’inizio mancano gli altri. Smanioso di vivere, avido di tutto, di gustare, di sentire, di provare, Ulisse non mette mai davvero a repentaglio la propria sicurezza, né mette mal in gioco se stesso, la sua identità.

Guido Tonelli — Questa critica alla figura di Ulisse non mi trova d’accordo. Ancora una volta tornerei al racconto omerico, che è soprattutto ‹nostos›, dolore e dolcezza che ti richiamano verso casa. Odisseo non vuole girovagare per mari aperti, sogna solo il momento in cui la sua nave approderà nel piccolo porto di Itaca. Trovo profondamente moderna questa aspirazione a navigare di porto in porto. Allo stesso modo il cammino della conoscenza non è una folle corsa irrefrenabile; è piuttosto un susseguirsi di approdi temporanei, giusto un attimo per inorgoglirsi del risultato conseguito, per poi precipitare subito nel nuovo abisso di ignoranza che ti si spalanca sotto i piedi.

[A·10]• ±
Piero Boitani — Il punto è proprio questo. L’Ulisse di Dante è, come diceva Ernst Bloch, un Faust del mare, il paradigma dello scienziato che non conosce limiti: quello di Omero è un navigatore forzato, un paziente costruttore di conoscenza legato agli affetti familiari: Eumeo, il cane Argo, la vecchia nutrice Euriclea, il figlio Telemaco, la moglie Penelope, il padre Laerte (che da giovane era stato uno degli Argonauti, i primi navigatori al mondo: tale il padre, tale il figlio!). Le scene di riconoscimento alla fine dell’‹Odissea› propongono una conoscenza diversa, più piena e più felice: non più del mondo o astratta, ma nella carne.

[A·11]• ±
Guido Tonelli — Sì, è proprio la carne nella sua consistenza materiale. È intrigante il fatto che la patria a cui Odisseo vuole tornare, sono soprattutto i corpi dei suoi cari; vuole sentire il vecchio cane strofinarsi alle sue gambe, rivedere Laerte prima di morire, stringere tra le braccia il corpo adulto di Telemaco, carezzare le rughe che ormai attraversano il viso di Penelope. Il continuo richiamo agli aspetti corporali continua per tutto il canto; la vecchia cicatrice, il corpo coperto di sale, le mani che hanno costruito il talamo, le braccia che tendono l’arco che strazia il corpo dei Proci, e il suo, dopo la strage, ricoperto di sangue e terribile a vedersi.

[A·12]• ±
Piero Boitani — Da questo punto di vista l’episodio più significativo è l’incontro con la sua sposa. Quando Odisseo termina di raccontare come abbia egli stesso costruito il loro letto dall’ulivo, Penelope gli corre incontro, cuore e ginocchia sciolte, gli getta le braccia al collo e gli bacia il capo, suscitando in lui la voglia di piangere. «Piangeva stringendo la sposa diletta, accorta», dice Omero. Poi attacca una similitudine di sei versi, che chiaramente si riferiscono a lui: come appare gradita la terra a chi fa naufragio e scampa ad esso nuotando ma, tutto incrostato di salsedine, tocca la riva con gioia. Non solo questa similitudine si riferisce a Odisseo perché legata al «piangeva stringendo la sposa», ma descrive l’esperienza di lui, che i lettori dell’‹Odissea› hanno visto sopravvivere al disastro in mare almeno tre volte e in una comparire davanti a Nausicaa proprio cosparso di sale. Ebbene, la similitudine, nonostante tutto questo, non riguarda lui, ma ‹lei›; «così le era caro lo sposo, guardandolo», conclude quei versi Omero. Insomma dice di lei tramite la storia e le immagini di lui. Cioè, Penelope e Odisseo diventano di nuovo una cosa sola, una sola carne. Forse non è l’esaltata conoscenza, da lontano, della «nova terra» che produce la gioia dell’Ulisse di Dante, e il suo ultimo naufragio, ma è esperienza della ‹felicità›. Sì, è vero, subito dopo Odisseo riferisce a Penelope l’inquietante profezia di Tiresia sull’ultimo viaggio che dovrà compiere alla ricerca di una terra dove non si conoscono le navi, i remi, il cibo condito col sale (che è poi l’origine di tutti gli infiniti viaggi di Ulisse nella letteratura occidentale e oltre), ma per un attimo egli ha raggiunto la conoscenza suprema.

[A·13]• ±?
Donatella Di Cesare — Eppure io vedo anche un altro aspetto in questo rapporto carnale con Itaca. Ulisse, a mio parere, non è solo l’antesignano dell’esploratore, il santo protettore dello scienziato — è anche il prototipo del turista. I suoi viaggi in terra straniera sono un allontanamento temporaneo da sé per far ritorno a sé, un passaggio nell’estraneo per far ritorno al proprio, a casa, presso di sé, presso i suoi. Questo vale anche là dove sembra perdersi e non tornare. Itaca resta sempre nel suo orizzonte — insieme alla patria e al mito della patria. L’odissea dell’eroe non è che questo movimento di riappropriazione che contraddistingue la tradizione eurocentrica. In questo senso temo che, pur riconoscendo il fascino e la suggestione che questa figura continua a esercitare, non si possa non condividere una certa critica che il pensiero più recente, da Theodor W. Adorno fino a Marc Augé, ha rivolto a Ulisse.

[A·14]• ±?
Guido Tonelli — Io penso invece che nel legame di Odisseo con Itaca sia contenuta proprio la risposta alla folle corsa senza limiti dell’Ulisse dantesco. Lui che rappresenta la curiosità, quell’istinto primordiale che condividiamo con altri primati, gli scimpanzé o i bonobo, ominidi che ci sono parenti molto stretti. Quella stessa curiosità che ha spinto l’umanità bambina ad andare oltre le prime colline che chiudevano la savana; che ancora si annida dentro ciascun bambino e dentro tutti noi quando continuiamo a chiederci da dove viene la meraviglia che ci circonda. È in realtà un Odisseo modernamente consapevole dei propri limiti, fiero delle sue rughe e del suo invecchiare, lontano dall’atteggiamento edonistico del turista. Un personaggio che non a caso rifiuta l’offerta di immortalità con cui lo tenta Calipso. «Non voglio l’eterna giovinezza, cibarmi per sempre di ambrosia e di miele». Eccolo qua il moderno paradigma di una conoscenza critica, ben consapevole dei propri limiti e cosciente della condizione di estrema fragilità umana. Quella stessa irriducibile vulnerabilità che le conoscenze scientifiche più avanzate sembrerebbero attribuire all’intera struttura materiale dell’universo.

[A·15]
Piero Boitani — Condivido questo punto di vista, anzi mi spingerei più in là. Mi ha sempre attratto — stregato, direi — proprio l’aspetto della personalità di Ulisse che nell’‹Odissea› lo riconduce a una dimensione meno eroica. Mentre quello di Dante si sente libero da ogni attaccamento alla moglie, al figlio, al padre, e non ritorna affatto a Itaca ma riparte dalla dimora di Circe (che Dante colloca «là presso a Gaeta») verso l’Occidente, quello di Omero è dominato dalla «malattia del ritorno», dalla nostalgia, e a casa vuole tornare proprio per riabbracciare gli affetti familiari. Considero fondamentale proprio il passo richiamato da Tonelli, quando Ulisse rinuncia all’allettante offerta che gli fa Calipso, di un’immortalità priva di vecchiaia, a favore della mortalità, e poiché la morte non è che un aspetto della vita, in effetti lo fa per amore della vita. La vita da uomo, di ogni uomo. Platone ha un colpo di genio quando alla fine della ‹Repubblica› fa scegliere a Odisseo, per la sua reincarnazione, la persona di un uomo qualunque, un privato cittadino lontano dai furori e dalle avventure che egli aveva sperimentato in vita. Per reincarnarsi, l’Odisseo di Platone sceglie la vita del Leopold Bloom di James Joyce: l’Ulisse moderno, irlandese ed ebreo.


Piero Boitani • Il grande racconto di Ulisse • Il Mulino pagine 668, € 55




L’autore


Nato a Roma nel 1947, Piero Boitani è professore ordinario di Letterature comparate all’Università La Sapienza della capitale e ha insegnato anche all’Università di Cambridge. Anglista e studioso di Dante ha dedicato una particolare attenzione all’‹Odissea› e alla figura di Ulisse, su cui ha pubblicato in passato due libri editi dal Mulino: ‹L’ombra di Ulisse› (1992, nuova edizione 2012) e ‹Sulle orme di Ulisse› (1998, nuova edizione 2007)


Il premio Balzan


Boitani è stato insignito del premio Balzan 2016 per la letteratura comparata. Lo stesso riconoscimento è andato a due scienziati; il tedesco Reinhard Jahn è stato premiato per le neuroscienze molecolari e cellulari: l’italiano Federico Capasso (docente in America alla Harvard University) per la fotonica applicata. I premi Barzan saranno consegnati ai vincitori il 17 novembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso di una cerimonia che si svolgerà al Quirinale.

L’indomani, venerdì 18 novembre, si terrà sempre a Roma presso l’Accademia nazionale dei Lincei (via della Lungara 10) un forum interdisciplinare dei premiati (ore 14.15) con la partecipazione di Boitani, Capasso e Jahn. Nella stessa sede si terrà in mattinata, alle ore 10.30, la presentazione del volume ‹The Balzan Prizewinners’ Research Projects: An Overview› (edizione 2016) dedicato ai progetti di ricerca finanziati con i premi della Fondazione Balzan: le somme assegnate ai vincitori che ammontano a 750 mila franchi svizzeri (685 mila euro) per ciascuno devono essere per metà destinate a questo scopo. L’incontro sarà moderato dal presidente del Comitato generale Premi della Fondazione Balzan, Salvatore Veca


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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[A·6]• «[…] l’Ulisse dantesco è […] un personaggio forse emblematico di quell’aristotelismo radicale da cui Dante era stato affascinato in gioventù […]»: cosa intende Tonelli per “aristotelismo radicale” (ai tempi di Dante)?
IBID.• «[…] mortifero sempre-desiderare […] coazione a ripetere […] una società dominata dal narcisismo […] delirio di onnipotenza […]»: c’è da chiedersi quali siano le letture di Tonelli (un fisico che lavora al LHC del Cern) in ambito psicologico.

[A·7]• «[…] gli viene ingiunto da Tiresia di non toccare gli armenti sacri al Sole se desidera tornare a casa […]»: già, è una storia ben nota (soprattutto a chi ha studiato i poemi epici degli antichi greci), ma di rado si riflette sul fatto che questo implica l’esistenza e la comune accettazione del sole come divinità (un divinità estranea all’Olimpo?)… e che ne avrebbe pensato Akhenaton?

[A·10]• «Le scene di riconoscimento alla fine propongono una conoscenza diversa, più piena e più felice: non più del mondo o astratta, ma nella carne» (è una della affermazioni di Boitani citate da Fagioli in ‹Left 2016-17›, precisamente in Left n. 49, ‹La mente razionale non dà la conoscenza nuova›): Boitani distingue nettamente tra l’Ulisse dantesco, legato alla “conoscenza” del mondo esterno (quello materiale?) o a quella astratta (matematica, geometria?), e l’Odisseo omerico, alla ricerca di una “conoscenza” legata più agli affetti familiari (quindi al rapporto interumano). È questo secondo, ovviamente, l’aspetto che più interessa Fagioli.

[A·11]• «[…] è proprio la carne nella sua consistenza materiale»: anche nell’ambito degli affetti familiari, Tonelli evidenzia (è capace di vedere soltanto) gli aspetti concretamente materiali; pare conosca piuttosto bene l’‹Odissea›, rimane purtuttavia sempre un fisico; incorreggibile.

[A·12]• «[…] per un attimo egli [Ulisse] ha raggiunto la conoscenza suprema»: cosa Boitani intenda per “conoscenza suprema”, e come si possa raggiungerla soltanto “per un attimo” non ci è del tutto chiaro; sembra comunque il “critico letterario” si riferisca al rapporto uomo-donna.

[A·13]• «Ulisse […] è anche il prototipo del turista»: detta così, sembrerebbe una banalizzazione, almeno se per “turista” s’intende il moderno “consumatore” di luoghi e usanze esotiche, incapace di vivere in modo profondo il rapporto con altre genti e altre culture, interessato soprattutto a collezionare souvenir, cimeli e foto da mostrare agli amici o, più modernamente, selfie da postare sui social.
IBID.• «I suoi viaggi […] sono un allontanamento temporaneo da sé per far ritorno a sé […]»: ma non ricorda la definizione di “etnocentrismo critico” di de Martino? E anche in altri ambiti, è chiaro che il rapporto con l’altro diverso da sé è possibile solo se si è realizzata chiaramente una propria identità ben definita, altrimenti si rischia di diventare come lo Zelig di Woody Allen.

[A·14]• «[…] altri primati, gli scimpanzé o i bonobo, ominidi che ci sono parenti molto stretti»: a rigor di termini, scimpanzé e bonobo sono sì, primati, ma non ominidi, in quanto in quest’ultima famiglia (‹Hominidae›, Gray 1825) rientrerebbero di diritto solo l’attuale specie umana (‹Homo sapiens›) e altre specie, tutte – per quanto se ne sa – estinte, note attraverso resti fossili e attribuite ai generi ‹Ramapithecus›, ‹Australopithecus› e ‹Homo› (sull’argomento si veda ad esempio http://www.treccani.it/vocabolario/ominidi/).

[A·15]• «[…] l’Odisseo di Platone sceglie la vita del Leopold Bloom di James Joyce»: il riferimento non può che essere all’‹Ulysses› di Joyce.

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