2016·12·15 - CorSera • Citati·P (dio imperfetto ebrei)

Il Dio imperfetto degli ebrei

(Arkbase)

di Pietro Citati Corriere della Sera — 15/12/2016 (giovedì 15 dicembre 2016)
In questi giorni Moshe Idel, il più noto studioso contemporaneo della mistica ebraica, pubblica presso Adelphi ‹Il male primordiale nella Qabbalah. Totalità, perfezionamento, perfettibilità›. La Qabbalah nacque in Provenza e in Catalogna tra il XII e il XIII secolo: conobbe influenze zoroastriane, neoplatoniche, islamiche e rabbiniche: culminò in un libro famosissimo, lo ‹Zohar›, impregnando profondamente lo spirito ebraico sino alla fine del XVIII secolo; influenzò il Rinascimento italiano, dove si diffuse la cosiddetta «cabbala cristiana», e la filosofia europea da Jakob Böhme ad Hegel. Più di Gershom Scholem, Moshe Idel sottolinea l’estrema varietà della Qabbalah. Per essa il principio di non contraddizione, al quale obbedisce quasi tutto il pensiero occidentale, non esisteva. I qabbalisti non si preoccupavano affatto di contraddirsi, nemmeno nello stesso testo e nella stessa pagina: come dice felicemente Moshe Idel, coltivavano un’estrema «fluidità concettuale». Niente è più erroneo che ricostruire un sistema, o dei sistemi, tratti dai loro scritti. Si aggiunga che i testi qabbalistici sono moltissimi: in gran parte manoscritti e nascosti nelle profondità delle biblioteche: altri sono stati distrutti, o affidati a una tradizione orale perduta; molti qabbalisti detestavano scrivere. Così Idel dice, quasi rinnegando il proprio libro, che una ricostruzione adeguata della dottrina qabbalistica è «quasi impossibile».
La Genesi comincia con queste parole: «Quando Dio cominciò la creazione del cielo e della terra, la terra era deserta e vuota, e la tenebra era alla superficie dell’abisso: il soffio di Dio aleggiava sulla superficie delle acque». Cosa c’era prima della creazione? Prima che la parola e il gesto di Dio creassero la luce e il firmamento? Chi aveva gettato quelle masse confuse ed indistinte, che servirono a Dio come materia? Alcuni Salmi, Giobbe ed Isaia alludono a una prima creazione: nella quale era avvenuta la lotta di Dio contro i mostri originari del mare, la Sua vittoria, e la rigorosa delimitazione delle acque e delle tenebre.
Già nel IV secolo dopo Cristo qualcuno sostenne che, da principio, Dio aveva creato dei mondi e li aveva distrutti. Infine creò il nostro mondo, che gli piacque: «Questo mondo mi soddisfa, mentre gli altri non mi piacevano»: salvo che, sempre secondo lo stesso scrittore, presto Egli cambiò parere anche a proposito del nostro mondo. Secondo un qabbalista, quei primi mondi erano instabili e mutevoli: non durarono perché mancava in essi un giusto equilibrio tra il principio maschile e il principio femminile, tra il Giudizio e la Misericordia. Oppure — disse un altro qabbalista — i primi mondi erano spirituali e puri, senza materia: oppure — disse ancora Moshe Cordovero — i primi mondi vennero distrutti perché non riuscirono a sopportare l’eccesso della luce divina.
Prima della creazione, Dio si dilettava con le lettere: le metteva insieme, le ruotava, le mutava, le combinava in un’unica frase, o in una mezza frase, o in un terzo di frase; le rovesciava, le univa, le separava, ne contava il numero. Allora, non c’era una distinzione tra i sessi. Esisteva una struttura androgina: la quale costituiva, per un qabbalista, «un segreto profondo, oscuro e sigillato: montagne e montagne di segreti dipendono da esso. Questo segreto non può venire messo per iscritto nemmeno in modo allusivo».
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Prima della Creazione, esisteva già la ‹Torah› (la Bibbia): esattamente come il Corano, che per Maometto era, in primo luogo, il proprio archetipo celeste, la ‹tavola custodita›. Se Israele non avesse accettato la ‹Torah›, Dio avrebbe restituito il mondo al caos. «Tutte le lettere della Torah secondo le loro forme — diceva un testo qabbalista —, combinate e separate, avvolte, curvilinee e uncinate, superflue ed ellittiche, piccole, grandi e capovolte, la grafia di ogni lettera, le pericopi aperte e chiuse, e il loro ordine, costituiscono tutte le forme di Dio, sia Benedetto!».
La creazione del mondo fu un atto di separazione e di limitazione: un atto di purificazione; ma anche, come disse più tardi Izchak Luria, un grande qabbalista del XVI secolo, un perturbamento dell’armonia tra le potenze di Dio. Dio diventò quale noi lo conosciamo: la perfezione: come dice lo Zohar, «luce e tenebre, bene e male insieme»; misericordia e giudizio, giustizia e malvagità, paradiso ed inferno; mano destra e mano sinistra. Se il male non esistesse in Dio, Egli non sarebbe perfetto: in primo luogo, Egli è totalità; e nemmeno il mondo sarebbe perfetto. Ciò inquietò molti fedeli ebrei, come inquietò molti fedeli cristiani. «Come è possibile — chiese a sé stesso un hassid polacco del XVIII secolo — che in Dio ci siano anche le cose malvagie?». Egli si rispose: «Non è possibile sapere come il male derivi dal bene assoluto».
Secondo quasi tutti i qabbalisti, nel tempo il male precede il bene, come la scorza avvolge il frutto; e lo protegge e lo salvaguarda. L’inclinazione al male appare prima dell’inclinazione al bene nello sviluppo di ogni uomo: infatti, nella Bibbia, i primogeniti dei patriarchi sono malvagi. Il dualismo tra bene e male, che appare nella Qabbalah, non ha nulla del rigore, della violenza e dell’intransigenza, che distinguono la religione iranica e alcune sette eretiche cristiane. Il dualismo viene attenuato e mitigato, giacché il male abita Dio. Nel Dio qabbalistico c’è un fortissimo elemento sessuale. Egli è sia maschile sia femminile — e i due elementi si attraggono e si fondono in Lui. Così, negli uomini, l’attrazione erotica e la procreazione sono considerate come estremamente positive. «Chi rinuncia ad adempiere il precetto della procreazione — scrive un qabbalista del XIII secolo — riduce la capacità del potere divino di compiere le proprie azioni. Il cattivo uso del seme ha una conseguenza negativa sul mondo celeste».
Come il cristianesimo bizantino distingue tra l’essenza e le energie di Dio, così la Qabbalah distingue tra En-Sof, il Dio totale, indifferenziato e inconoscibile, e le dieci Sefirot. Ora esse sono puramente divine, «corone» di Dio: ora, sono emanate da Dio come strumenti dei Suoi disegni: ora immobili ora mobilissime; ora maschili ora femminili, o alternativamente maschili e femminili. La loro relazione con Dio, simile a quella tra l’anima e il corpo, non potrebbe essere più stretta. L’ultima Sefirot, la decima, porta il nome di Shekinah, ed è la più popolare nel mondo ebraico. Essa è, soprattutto, la manifesta presenza femminile di Dio sulla terra: la fidanzata, la sposa, la figlia di Dio; e coincide con l’altra sposa che è Israele. Quando Adamo venne cacciato dal Paradiso, anche la Shekinah fu cacciata. Da quel momento, l’esilio fu la sua condizione.
Dopo una grave malattia, Abraham Halévy di Safed si recò a Gerusalemme, dove per tre giorni condusse un’esistenza di recluso, digiunando e piangendo. Poi andò al Muro del Pianto, e vi pregò tra le lacrime. Quando alzò gli occhi, scorse sopra il muro una donna vestita come una vedova, che gli voltava la schiena. Vedendola così misera, egli cadde col viso contro la terra e disse: «Madre, sventura su di me, che ho dovuto vederti in questa condizione»: si strappò i capelli e perse conoscenza. Allora la Shekinah prese il suo capo tra le ginocchia, asciugò le sue lacrime, e lo consolò.
La Shekinah percorreva esiliata le contrade dell’universo. Se un tempo aveva folgorato con l’intensità del sole, ora brillava di una pallida luce riflessa, come la «sacra luna», menomata, rimpicciolita, coperta di ombre e di macchie. Con strazio sempre rinnovato, gli ebrei la rappresentano in questo esilio. Ora come una principessa, che il padre o lo sposo hanno cacciato, senza colpa, dal regno: ora come la figlia di un povero: ora come una serva che fa i lavori più umili nelle locande: rapita, calunniata, sottoposta a tutte le debolezze e crudeltà umane. Avvolta in manti che le celano il viso, essa fugge, scompare, si nasconde — e sulla terra restano poche tracce di lei: orme quasi cancellate di passi, vesti abbandonate, fuscelli di paglia, fazzoletti bagnati di lacrime.
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Un fatto distingue radicalmente il cristianesimo dall’ebraismo. Nel cristianesimo Dio è perfetto, e ignora perfino che qualcuno possa parlare, a Suo proposito, di mancanza; e noi non possiamo avere nessuna influenza su di Lui. Nella Qabbalah, Dio conosce la mancanza: il peccato di Adamo, il diluvio, la distruzione del Tempio sono tutti segni di questa tremenda mancanza. Egli non è onnipotente né perfetto. Va dunque perfezionato, e soltanto gli uomini possono cancellare le Sue imperfezioni, diffondendo amore nel mondo celeste. L’uomo ha un potere inimmaginabile: è, per così dire, responsabile di Dio; e con le sue virtù e azioni può ricomporre l’immagine e la gloria di Dio, così spesso offuscate.
Conosciamo una mistica cristiana, che culmina in san Francesco, Angela da Foligno, san Giovanni della Croce e santa Teresa; e una islamica, con al-Hallaj, ‘Attar e Rumi. Con grande precisione ed intelligenza, Moshe Idel ricostruisce una mistica ebraica, che non è fondamentalmente diversa da quella cristiana ed islamica. Come scrive El’azar, «chiunque si unisca alla presenza divina, lo spirito divino sicuramente inabiterà in lui». Mosè — dicono i qabbalisti — era un grandissimo mistico, e morì a causa del «bacio beatifico» di Dio: estasi e morte, tipica coincidenza mistica. Anche nell’ebraismo, Moshe Idel riscopre l’unione mistica. Ci sono immagini fondamentali, come la goccia d’acqua che cade nel mare, dove si perde e si annulla: o Dio che ingoia nel suo cuore l’uomo, il quale viene così a far parte della sostanza di Dio. Come in ‘Attar e in santa Teresa, l’unione mistica è il rischio supremo: la morte e il nulla. L’unione mistica è appunto questo: la morte e il nulla, come dicono i qabbalisti. Ma, mentre ‘Attar e santa Teresa raccontano mirabilmente le loro sensazioni e i loro sentimenti, o le trasformano in racconto, i qabbalisti non raccontano nulla. Parlano del loro pianto (come i mistici cristiani): della ripetizione dei Nomi divini, rivestiti di vari colori. Ma, in realtà, la loro ultima parola è il silenzio: un sublime silenzio; l’influsso divino viene taciuto, perché ‹il silenzio è la voce con la quale Dio parla all’uomo›.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA: le fonti secondarie dalle quali abbiamo ricavato il testo non contengono corsivi né accapi; abbiamo aggiunto qui gli uni e gli altri – secondo il nostro arbitrario giudizio – con l’intento di facilitare lettura e riferimenti. •[A·5]• «Prima della Creazione, esisteva già la ‹Torah› (la Bibbia) […]»: ma la Torah non corrisponde al solo Pentateuco? •[A·11]• «Nella Qabbalah, Dio conosce la mancanza […]»: questa considerazione di Citati è quella che dà il titolo all’articolo, e ad essa si riferisce Fagioli in un suo articolo pubblicato su “Left” il 30/12/2016: ‹Perduta la coscienza la fantasia parlò›. _____ [] https://www.corriere.it/cultura/16_dicembre_15/male-primordiale-nella-qabbalah-moshe-idel-adelphi-bd9df282-c2ed-11e6-a6a9-813fa40c3688.shtml [] https://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=5853da941edf7 [] http://www.patriarcatovenezia.it/wp-content/uploads/2016/12/Rassegna-stampa-16-dicembre-2016.pdf ¯¯¯¯¯

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