L’«Iliade» plurilingue di Franco Ferrari
__________
Classici ritradotti
~~~~~~~~~~
Negli Oscar una nuova, personalissima versione, con denso commento
~~~~~~~~~~
‹Anfora con Achille e Aiace che giocano a dadi›, Atene, 530-525 ca., Mannheim, Reiss Engelhorn Museen
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
di Federico Condello
il manifesto – Alias — 01/07/2018 (domenica 1° luglio 2018)
•
«Non si è autori che a partire dalla seconda opera», diceva il Lejeune del ‹Patto autobiografico›. Aurea regola, dalla quale viene una formula tra le più fortunate del nostro marketing librario: «dallo stesso autore di…». Segue, naturalmente, menzione di uno o più bestseller anteriori. Ma cosa accadrebbe se volessimo applicare la regola, e la pubblicità che ne deriva, all’autore primo e principe, cioè a Omero? Il gioco funzionerebbe ancora? O invece Omero fa eccezione, ed è nato autore fin dalla sua prima opera, che è per noi la prima di tutte le opere a venire? L’«Oscar» omerico che si discute in queste pagine (‹Iliade›, a cura di Franco Ferrari, pp. 1232, € 14,00) esibisce placidamente questa réclame: «di Omero negli Oscar: ‹Iliade›, ‹Odissea›». E però bisogna ammettere che la dicitura suona piuttosto spiazzante, se applicata al cieco di Chio, al poeta dei poeti. «Iliade, Odissea»: che altro mai dovrebbe esserci? «Di Omero»: siamo sicuri? E «di Omero» in che senso? Omero è forse un autore come un altro?
•
Eppure, a suo modo, la regola di Lejeune funziona anche per l’autore dell’‹Iliade› e dell’‹Odissea›. «Omero» – il suo nome, il suo mito – è decisamente posteriore ai poemi che del suo nome e del suo mito si alimentarono: appropriarsi di quei poemi, e diffonderli sotto la paternità di un proto-poeta leggendario, fu una geniale operazione di marketing letterario avvenuta nel corso del VI sec. a.C. Gli aedi che la promossero, oltre a tutelare se stessi dietro un comodo anonimato, diedero impulso a una dilagante attività pubblicitaria in virtù della quale «tutta la poesia epica, intorno al 500 a.C., è poesia di Omero» (Wilamowitz): tutta l’epica perduta che noi oggi leggiamo a brandelli. Finché essa circolò sotto il nome di Omero, fu salvaguardata. Poi si perse. Così, se dapprima «Omero» trasse lustro dall’‹Iliade›, di lì a breve l’‹Iliade› trasse lustro da «Omero»; e con essa l’‹Odissea›, poema programmaticamente epigonale con cui inizia davvero «la letteratura», diceva Vincenzo Di Benedetto; e con l’‹Iliade› e l’‹Odissea› ogni altro epos di età arcaica a vocazione panellenica: tutti poemi provenienti a qualche titolo da Omero, cioè «dallo stesso autore di…».
E oggi? Oggi Omero è più che mai «Omero», perché la sua canonizzazione moderna – un fenomeno tutto sommato recente, di pretta età romantica – ne fa un autore più che mai anonimo, più che mai collettivo. Diciamoci la verità: situare Omero nel tempo e nello spazio non solo non ci interessa, ma ripugnerebbe al nostro gusto, e ci parrebbe lesa maestà. Semmai, ci interessa sapere chi lo traduce per noi.
In effetti, fra le infinite patenti di classicità che vanno riconosciute a Omero, una si deve sottolineare, perché la si nota di rado: Omero è l’unico «autore» classico di cui importa sapere chi sia il suo traduttore. Nessuno se lo chiede, fuori dagli specialisti, per Senofonte o Cicerone, per Seneca o Plutarco, e nemmeno per Platone o Aristotele. Omero è diverso. «Voglio rileggere Omero», oppure «mia figlia deve leggere Omero, che traduzione mi consigli?»: ecco una domanda che i classicisti si sentono porre da amici e conoscenti con la stessa frequenza con cui i medici si sentono interpellare su questo o quell’acciacco. E improvvisamente i classicisti si scoprono utili: anche se quasi mai riescono a dare una risposta secca.
D’ora in poi, per l’‹Iliade›, la risposta risulterà forse più facile. Sì, perché a Ferrari riesce qualcosa che ai traduttori omerici riesce di rado: emanciparsi, nella misura in cui è possibile e legittimo, dal canone traduttivo anteriore. Ora, si sa che l’Omero novecentesco è indiscutibilmente quello di Rosa Calzecchi Onesti: la portentosa traduttrice forgiò nel 1950 l’italo-omerico contemporaneo; liberarsi del suo modello si è rivelato per lo più un’impresa impossibile, anche quando la si è lucidamente perseguita. Fra le rare eccezioni, il coraggioso Omero in prosa di Maria Grazia Ciani; e l’ispida, laboriosa, genialmente cervellotica ‹Odissea› del citato Di Benedetto.
•
Ferrari, con questa sua ‹Iliade›, si colloca da par suo fra le eccezioni. La sua ‹Iliade› viene dopo l’‹Odissea› da lui tradotta quasi vent’anni fa; e viene dopo tanti altri classici – lirici, tragici, prosatori – volgarizzati per le maggiori case editrici italiane: se a Ferrari applicassimo la formula «dallo stesso traduttore di…», l’elenco sarebbe lunghissimo. Con l’‹Iliade›, però, egli compie un’operazione speciale, costata anni e anni di lavoro: il traduttore cerca un ritmo e un tono che siano solo suoi; e solo sue sono tante singole soluzioni che innovano, oltre al ron-ron formulare, tutto il campionario lessicale del poema. Ne esce una stupenda ‹Iliade› plurilingue: accanto al registro aulico, c’è il colloquiale; accanto alla vaghezza lirica, c’è il vocabolario tecnico; accanto all’epiteto stereotipato – atto d’ossequio dell’aedo alla sua tradizione, che impone al traduttore un analogo tradizionalismo – c’è l’imprevisto guizzo della nominazione inedita, esatta, illuminante.
Un’‹Iliade› nuova è una novità davvero. Le novità sono qui figlie di dottrina, non solo di felicità espressiva: quasi ogni scelta è una meditata presa di posizione esegetica. E infatti l’introduzione, la nota filologica, il densissimo commento sono fra i migliori contributi omerici recenti. La profondità si abbina a una chiarezza superba, di cui pochi sarebbero stati capaci.
«Voglio rileggere l’‹Iliade›…». Bene: questa traduzione si può caldeggiare con ottimi motivi.
_____________________
ANNOTAZIONI E SPUNTI
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
•
•
•
_____
[] https://ilmanifesto.it/liliade-plurilingue-di-franco-ferrari/
¯¯¯¯¯