La guerra silenziosa
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Editoriale
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di Matteo Fago
Left n. 49 — 07/12/2018 (venerdì 7 dicembre 2018), p. 6.
Sono bastati solo 3 mesi al governo grillo-leghista per mettere in crisi la fragilissima ripresa dell’economia italiana. Il Pil nel 3° trimestre, quindi luglio, agosto, settembre, è calato dello 0,1% rispetto all’anno precedente. Le mirabolanti promesse del governo si sono sgonfiate in un tempo eccezionalmente breve. Il dato molto importante di questo calo del Pil è il fatto che dipende essenzialmente dalla diminuzione degli investimenti. Ossia dalla diminuzione di ciò che invece il governo sostiene sarebbe aumentato. In sostanza significa che chiunque abbia soldi da investire, in nuove attività produttive, immobili, acquisti di partecipazioni, investimenti per lo sviluppo, ecc. preferisce non farlo o magari investirli non in Italia. E il motivo è un ragionamento banale. Chi può avere interesse di investire i propri soldi in Italia sapendo che al governo ci sono forze politiche che non nascondono affatto il proprio disegno di uscita del Paese dall’euro? Perché mai rischiare di vedere convertiti d’ufficio i propri soldi in una nuova moneta italiana che è ovvio si svaluterebbe immediatamente almeno del 30% del proprio valore gettando per di più il Paese in una recessione drammatica?
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Salvini e Di Maio hanno fatto la voce grossa con gli altri Paesi europei e con la Commissione europea tuttavia il problema non sono direttamente i partner europei ma appunto gli investitori internazionali e soprattutto nazionali. Che la struttura dell’Unione europea abbia bisogno di essere rivista è fuori di dubbio. Ma ribellarsi in maniera così casuale ad essa è profondamente sbagliato e può portare soltanto danni al Paese, come in effetti sta accadendo. Viviamo in tempi complessi in cui apparentemente c’è un superamento delle ideologie e delle categorie novecentesche. Le religioni monoteiste sono tutte in crisi. Le categorie politiche “classiche” sono anch’esse in crisi. Sembra non essere più possibile una rappresentanza politica delle istanze della popolazione. Sembra non essere nemmeno più chiaro quali siano queste istanze. L’unica cosa che sembra restare in piedi sono le nazioni con le loro lingue e culture nazionali. È allora necessario lavorare perché l’Unione europea si estenda e vada oltre quelle che sono le sue attuali competenze. Che si arrivi ad una unione politica e non solo economica e tecnica. Sarebbe bene che anche a sinistra venga compresa questa semplice logica. Quello che ci vuole è più internazionalismo, in questo caso europeo, e meno sovranismo. La guerra guerreggiata si combatte in ambiti regionali, normalmente lontani dai Paesi più avanzati. Ma se guardiamo meglio è ormai in corso una guerra tecnologica sempre più sofisticata in cui tre grandi potenze si danno battaglia: gli Usa, la Cina e la Russia. Il terreno dello scontro è sicuramente il controllo delle risorse naturali, ma considerando che la tecnologia permetterà in breve tempo di superare la dipendenza dal petrolio, il vero scontro sarà su chi controlla il territorio, in particolare le risorse idriche e la terra coltivabile.
Perché è ormai chiaro che i grandi temi di questo secolo saranno la crisi climatica con le sue conseguenze e il controllo della tecnologia che di fatto sarà ciò che muoverà e determinerà i flussi economici. In quest’ottica tutte e tre le grandi potenze puntano al disfacimento dell’Unione europea. È molto più facile controllare Paesi isolati con monete nazionali deboli che non un’unione europea che con tutti i suoi grandi limiti è la più grande economia mondiale. Inoltre l’Europa è il continente più vicino all’Africa rispetto agli altri grandi Paesi. Ed è l’Africa il continente con le più grandi possibilità di sviluppo per la gran parte ancora inespresse.
Non a caso l’Africa è il continente dove la Cina sta investendo in assoluto di più per “colonizzare” alla sua maniera, ossia creando infrastrutture e attività economiche connesse ad esse.
Il piccolo cabotaggio di Salvini per non parlare di quello ancor più minuscolo di Di Maio non può nulla di fronte a forze in gioco che sono enormi e possono spazzare via la nostra economia in un battito di ciglia. È senz’altro necessario immaginare una nuova economia che metta al centro della propria struttura teorica l’essere umano e che non sia sempre e solo mors-tua vita-mea.
L’economia non può essere sempre a scapito di qualcun altro o di qualcos’altro. Dobbiamo riuscire a superare i contrasti e le contraddizioni e immaginare un futuro che sia diverso. Se l’Europa muore finisce con essa anche la speranza che Paesi diversi possano lavorare insieme per un fine comune più alto che può essere anche un bene comune. Un fine ideale che è sovranazionale perché riguarda tutti gli esseri umani e che nel tempo potrà estendersi a tutti superando l’idea illuministica di Stato nazionale.
Ed è giusto e ovvio che sia così dato che a prescindere dal luogo di nascita siamo tutti esseri umani: uguali per diritto di nascita.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[ivi]• «[…] il vero scontro sarà su chi controlla il territorio, in particolare le risorse idriche e la terra coltivabile»: un’importanza considerevole potrebbe essere assunta dalle risorse minerarie relative ai materiali necessari per le implementazioni tecnologiche.
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