A mai più, Marga
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Cultura | Scienza
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Il ricordo personale e politico della segretaria nazionale di Democrazia atea, partito per il quale Margherita Hack si candidò alle elezioni del 2013
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Il libro
•[A·0]• ~?
«Ha saputo leggere l’Italia a ogni livello senza pedanteria accademica, ma con lucidità, coerenza e ironia. È riuscita nel grande compito di “umanizzare” la scienza». Ammiratore e amico di ‹Margherita Hack› [sic!], il giornalista scientifico e saggista Pietro Greco, in questo libro biografico edito da l’Asino d’oro, racconta la vita di questa grande donna, presentando, in un intreccio inestricabile, il percorso della scienziata e quello dell’astronomia.
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di Carla Corsetti
Left n. 25 — 21/06/2019 (venerdì 21 giugno 2019), p. 58.
Dopo una estate trascorsa ad elaborare gli atti fondativi, nel dicembre del 2009 avevamo formalizzato la nascita di Democrazia atea. Sapevamo di muoverci in un campo minato da secoli di subordinazione clericale e questa condizione avrebbe influito sulle adesioni. Nel 2011 un demoateo mi preannunciò l’interesse per il nostro partito da parte di Margherita Hack. Se per un verso intuivo che la storia politica e personale della Hack non avrebbe potuto avere cornice ideologica diversa da quella che avevamo trasfuso nel nostro partito, dall’altra ero consapevole che non avevamo una prospettiva elettorale rilevante. Lessi sul display del telefono il prefisso 040…
In una frazione di secondo realizzai che quella telefonata avrebbe confermato non soltanto una adesione ideale, ma un salto di qualità notevole per DA. Non fu una telefonata facile, la Hack doveva approfondire la nostra conoscenza mentre io dovevo cogliere la dimensione della sua preannunciata condivisione. Nessuna delle due poteva permettersi errori di valutazione, entrambe eravamo determinate a non incrinare la sua storia politica con un partito nuovo e senza percorsi elettorali collaudati.
Decidemmo di incontrarci di persona e andai a trovarla a Trieste. Salii le scale esterne che mi portarono in un giardino popolato da gatti mentre in casa mi accolse guardingo un cagnolino. Attraversai un corridoio con una libreria con una doppia fila di libri. Mi fecero accomodare in una stanza arredata da librerie stracolme fino al soffitto. La Hack mi aspettava sorridente.
La nostra conversazione iniziò con schiettezza priva di convenevoli. Mi chiese come mai non avevamo chiamato il partito Democrazia laica. Le dissi che nell’accezione autentica del termine, laico è riferibile a colui che non è ordinato sacerdote ma che si riconosce nella Chiesa cattolica e soprattutto riconosce l’autorità morale del pontefice. Noi non riconoscevamo l’autorità morale del papa e non potevamo utilizzare un termine che manteneva ambiguità nelle sue diverse sfaccettature e declinazioni. Convenne che la scelta del nome dato al partito era condivisibile.
Parlammo della nostra connotazione antifascista e fu anche contenta di sapere che nel mio personale antifascismo c’era l’orgoglio di familiari partigiani socialisti. L’autodeterminazione del fine vita, i diritti degli omosessuali, e in generale la difesa dei diritti umani e costituzionali, per lei imprescindibili, erano posti nella centralità della nostra azione politica.
E infine parlammo dell’articolo 7 della Costituzione, della necessità di abrogare i Patti lateranensi, che Democrazia atea ha nei suoi obiettivi programmatici ma anche nelle sue finalità statutarie. Dopo quella conversazione mi autorizzò ad utilizzare la sua immagine e il suo nome.
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Arrivarono le elezioni del 2013 e tornai a Trieste per chiederle di candidarsi. Inizialmente ebbe delle perplessità legate esclusivamente alla sua età e alle sue condizioni di salute, e mi disse che quandanche fosse stata eletta, si sarebbe dimessa. Valutammo che non avremmo superato l’1% dei consensi e così acconsentì a candidarsi. Lo statuto di Democrazia atea prevede che per candidarsi occorre rescindere ogni legame giuridico con la monarchia vaticana, e dunque nel predisporre la documentazione della sua candidatura, acquisimmo anche la dichiarazione dalla diocesi di Firenze che confermava come Margherita Hack non risultasse iscritta in nessun registro battesimale, dunque non era mai stata suddita di quella monarchia. Dopo le elezioni la informai dei risultati e nelle settimane successive mantenemmo contatti telefonici. Dal telefono sentivo che il suo affanno era sempre più marcato. La chiamai per il suo compleanno e le dissi che a fine giugno sarei andata a trovarla. Sono tornata invece sulla sua tomba, adornata da una stele sobria ed essenziale.
Ci ha lasciati testimoni di un palpito sovratemporale di tensione ideale protesa verso il principio di laicità. Noi abbiamo raccolto il testimone, orgogliosi.
A mai più, Marga.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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•[A·0]• «Ammiratore e amico di ‹Margherita Hack› [sic!] […]»: ovviamente Pietro Greco era “ammiratore e amico” della scienziata, non della biografia scritta sulla Hack dallo stesso Greco, come sembrerebbe dall’evidenziazione in corsivo; marcato con [sic!].
•[A·7]• «[Margherita Hack…] ebbe delle perplessità legate esclusivamente alla sua età e alle sue condizioni di salute […]»: aveva all’epoca già 90 anni, e in effetti sarebbe morta alcuni mesi dopo, compiuti i 91.
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