Neanderthal, un artista originale
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Cultura – Antropologia
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Nell’Ottocento gli scienziati pensavano si trattasse di un anello di congiunzione con la scimmia. Per lungo tempo si è creduto che fossero dei bestioni e solo di recente si è cominciato a riflettere sulle tracce della loro arte ritrovate negli anni Novanta
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Sopra le strutture circolari di Bruniquel sono state rinvenute tracce di numerosi focolari. Illuminavano un ambiente
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di Domenico Fargnoli
Left n. 31 — 02/08/2019 (venerdì 2 agosto 2019), pp. 52-55.
Il 15 giugno 2019 il canale televisivo franco-tedesco Arte ha diffuso un documentario su una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi decenni: la grotta cosiddetta di Bruniquel per la prossimità all’omonimo villaggio medioevale francese situato nel dipartimento di Tarn-Garonne in Occitania.
Le strutture presenti nella grotta, opera dell’Homo neanderthalensis hanno la strabiliante datazione di 176mila anni: si tratta della più antica costruzione umana lontana dalla luce del giorno. La notizia del ritrovamento e dell’uscita del documentario non ha suscitato nei media italiani l’interesse che ci saremmo aspettati. I nostri antenati si sono avventurati, torcia alla mano nelle profondità della terra addentrandosi in una vasta sala ornata di innumerevoli stalattiti e stalagmiti dagli splendenti colori bianco (per la presenza della calcite) rosso e ocra. Solo le stalagmiti, a più di trecento metri dall’ingresso della grotta, sono state spezzate a migliaia, ulteriormente lavorate, ridotte in frammenti e assemblate in vaste ed enigmatiche formazioni circolari disposte e costruite secondo un piano preordinato.
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La scoperta di Bruniquel ci costringe a rivedere completamente le nostre concezioni e i pregiudizi della comunità scientifica nei confronti del Neanderthal: quest’ultimo 140mila anni prima dell’Homo sapiens, artefice della monumentale arte parietale di Chauvet (cui il regista Werner Herzog ha dedicato il docufilm ‹Cave of forgotten dreams› nel 2010) aveva, simbolicamente, cercato di impadronirsi del mondo sotterraneo sfidando la paura del buio. Il mondo “sotterraneo” equivale al non cosciente, all’irrazionale? L’esplorazione primitiva certo non fu effettuata per scopi utilitaristici e di mera sopravvivenza. Essa testimonia una notevole capacità psichica e simbolica, un’attitudine alla ricerca da parte di gruppi umani in grado di mettere in atto collaborazioni di estrema complessità che inevitabilmente presupponevano forme di comunicazione linguistica. I singoli individui, capaci di un pensiero astratto, padroneggiavano, oltre alla scheggiatura della pietra, la tecnologia del fuoco ottenuto dalla combustione di ossa spezzate di animali di grossa taglia, innescata da fascine di pino come provato dagli studiosi. Sopra le strutture circolari di Bruniquel sono state rinvenute tracce di numerosi focolari che erano serviti a illuminare un ambiente, condiviso peraltro sporadicamente con orsi bruni dei quali vediamo ancora le tracce, che non aveva funzioni abitative ma molto probabilmente solo magico-rituali. L’allestimento obbediva chiaramente ad un criterio scenografico-teatrale che lo rendeva simile ad una installazione permeata di valori estetici, che ritroviamo anche nella localizzazione della grotta in un paesaggio di incomparabile bellezza. Perché, possiamo chiederci, nei confronti del Neanderthal, ritenuto poco più che un bestione, dotato invece di una raffinata sensibilità artistica, si sono sviluppate così tante false credenze e giudizi che si scontrano con le conclusioni degli studi scientifici pubblicati in anni recenti? Negli anni Novanta quando l’insediamento di Bruniquel fu portato alla luce e furono pubblicati i primi risultati dei sopralluoghi l’evento fu accolto con indifferenza e passò quasi inosservato. Probabilmente questo nostro antenato è stato scoperto troppo presto. Quando in Belgio le prime ossa furono portate alla luce nel 1829, Darwin non aveva ancora pubblicato ‹L’origine della specie› che apparve nel 1859. L’idea che noi potessimo avere un antenato era allora impensabile. Bisogna attendere il ritrovamento in Germania di una calotta cranica, nel 1864, perché venga identificata e venga dato un nome ad una nuova specie del genere Homo. Rispetto a quest’ultima gli scienziati pensavano si trattasse di un anello di congiunzione con la scimmia: una concezione semplicistica e lineare dell’evoluzione ha contribuito a creare un pregiudizio che si è protratto per tutto il XX secolo grazie anche al famoso darwinista Ernst Haeckel che voleva adottare la dizione Homo Stupidus. Anche l’aspetto fisico ha giocato a sfavore del Neanderthal. Tozzo, con un cranio sproporzionato, un naso grande e schiacciato, sopracciglia scimmiesche e il mento sfuggente non rientrava nei canoni estetici degli appartenenti alla razza bianca che ha stentato in generale a riconoscere in soggetti con caratteri somatici diversi dai propri come per es. gli amerindi o gli aborigeni australiani, il tratto di una comune umanità. Viene in mente lo spagnolo Jean Gines de Sepúlveda che, nel XVI sec. sosteneva che gli indios non fossero veramente uomini perché praticavano come i Neanderthal il cannibalismo: ossa umane spezzate per estrarne il midollo e segni di scarnificazione testimoniano questa pratica di cui non conosciamo né il significato né la frequenza.
Un preconcetto razziale per non dire coloniale si è storicamente palesato, anche se inavvertito dai più, nell’ambito della paleoantropologia: la migrazione dell’Homo Sapiens dall’Africa in Europa, dove le due specie Sapiens e Neanderthal convissero per millenni fino alla scomparsa di quest’ultimo è stata interpretata come il sopravvento di una specie superiore rispetto ad una inferiore e meno dotata.
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Il processo di migrazione dal corno d’Africa all’Europa del Sapiens sarebbe sfociato in una colonizzazione a scapito del Neanderthal e avrebbe percorso in epoca preistorica un cammino inverso a quello seguito dagli Europei per lo sfruttamento dell’Africa a partire dal sette-ottocento [sic!]. Ricerche recentissime di scienziati paleomagnetisti come J.E.T. Channell dell’Università della Florida e Luigi Vigliotti del Cnr hanno ipotizzato che la scomparsa fu dovuta, non a competizione o guerra fra due specie diverse di cui non è rimasta traccia, ma a modificazioni del campo magnetico terrestre (dette escursioni di Laschamp) che sappiamo essere intervenute circa 41mila anni fa proprio quando iniziò, dopo 400mila anni, quello che sembra un processo di estinzione definitivo dei nostri antenati [sic!]. In particolare la diminuzione dell’ozonosfera avrebbe favorito una maggiore penetrazione dei raggi ultravioletti e il cosiddetto Ros (stress ossidativo) a scapito di un già basso tasso di fertilità e natalità rispetto al Sapiens; a differenza di quest’ultimo, i Neanderthal non disponevano, per loro varianti genetiche, di una adeguata protezione contro gli effetti nocivi delle radiazioni solari intensificate a dismisura, in certe aree geografiche, dalle modificazioni del campo elettromagnetico [sic!] terrestre. Ma le sorprese rispetto alla preistoria non si limitano al ritrovamento delle stupefacenti strutture di Bruniquel che mettono in crisi falsi giudizi. Studi recenti su grotte della penisola iberica condotti da Dirk Hoffmann del Max Planck Institute e Diego Angelucci dell’Università di Trento hanno permesso di affermare grazie al nuovo metodo di datazione basato sul decadimento dell’uranio-torio, che la manifestazione artistica più antica è quella dei Neanderthal. Questi ultimi hanno dato vita ad una cave art (rappresentazioni di animali, forme geometriche, impronte di mani) più di 20mila anni prima di quella di Chauvet, mentre l’uso di conchiglie a scopi ornamentali e simbolici e di pigmenti colorati è documentato a partire da 115mila anni fa: ben prima che i Sapiens fossero in grado di creare manufatti simili. Quella dei Neanderthal oggi ci appare come una cultura dotata di proprie caratteristiche originali e non frutto, come si pensava in passato, solo di imitazione: la vicenda che ha portato al riconoscimento della loro creatività a lungo occultata chiarisce comunque un concetto fondamentale. Come ha sostenuto Telmo Pievani in ‹Libertà di migrare› (scritto per Einaudi con Valerio Calzolaio) «il fenomeno migratorio umano è strutturale e costitutivo della nostra identità di specie»: esso può far parte integrante della ricerca di una nuova identità. È stata la capacità migratoria, la capacità di immaginare dell’Homo Sapiens, che gli ha consentito di entrare in contatto con la diversità e l’originalità dell’homo neanderthalensis dando vita ad una ibridazione di cui c’è traccia indelebile nel nostro Dna, ibridazione che è stata anche un processo di graduale assimilazione e trasformazione di contenuti culturali. Nel momento in cui il Neanderthal apparentemente scompare in realtà era già nato un nuovo “umanesimo” dall’incontro di due specie diverse, apparentemente “aliene”; specie e non solo etnie come avrebbe detto Ernesto De Martino interessato come fu al confronto con umanità estranee alla storia dell’Occidente. Si può pensare che sia emersa così nella preistoria una nuova mentalità che ha agito come un fermento all’interno delle comunità primitive dando vita a creazioni artistiche collettive in cui si è manifestata per millenni una vitalità, una forza espressiva prima sconosciuta: Chauvet, Lascaux, Niaux ed Altamira. È senz’altro vero che all’origine è stata l’arte a renderci ciò che siamo segnando uno dei passaggi fondamentali della nostra evoluzione: per quanto difficile da accettare bisogna ammettere però che i primi umani sono stati proprio i neandertaliani [sic!].
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA: i termini scientifici in latino, come “Homo neanderthalensis” e “Sapiens”, non sono mai sistematicamente evidenziati in corsivo, e analogamente non lo sono quelli in inglese (ad esempio “cave art”); il corsivo è invece utilizzato per i titoli di opere.
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•IBID.• Nel testo evidenziato a p. 54: «Illuminavano un ambiente», la frase sembra tronca, ed in effetti, nel testo prosegue con “… che non aveva funzioni abitative ma molto probabilmente solo magico-rituali”; testo non modificato.
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•IBID.• «[…] canoni estetici degli appartenenti alla razza [sic!] bianca […]»: esiste una “razza bianca”? L’espressione richiama – non si sa quanto intenzionalmente – la “razza ariana” del nazismo, ma forse la “razza bianca” esiste veramente… nella mente di qualche moderno suprematista.
•IBID.• Nel testo originario: «[…] questa pratica di cui non conosciamo ne [sic!] il significato ne [sic!] la frequenza», per un doppio refuso, mancano gli accenti su “né … né …”; corretto.
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•IBID.• Nel testo originario: «[…] paleomagnetisti come J.E.T [sic!] Channell […]», manca quantomeno un punto di abbreviazione dopo la ‘T’; corretto.
NOTA: per maggiori dettagli sull’articolo cui si riferisce Fargnoli, si veda https://www.cnr.it/en/press-release/8759/svelata-la-causa-dell-estinzione-dei-neanderthal-e-di-altri-mammiferi.
•IBID.• Nel testo originario: «[…] un processo di estinzione definitivo dei nostri antenati [sic!]», sembrerebbe una contraddizione in termini, ma forse tanto “estinzione” quanto “antenati” sono termini impiegati qui in senso lato, e l’apparente contraddizione può essere giustificata dal concetto di “ibridazione” che viene introdotto poco oltre; marcato con [sic!].
•IBID.• «[…] il cosiddetto Ros (stress ossidativo) […]»: per il concetto di “stress ossidativo”, si veda wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Stress_ossidativo).
•IBID.• Nel testo originario: «[…] radiazioni solari intensificate a dismisura […] dalle modificazioni del campo elettromagnetico [sic!] terrestre», però, in precedenza – nello stesso cpv. – era il campo “magnetico” (senza “elettro-”), che ci sembra più plausibile; marcato con [sic!].
•IBID.• Nel testo originario: «[…] prima che i Sapiens fossero un [sic!] grado di creare manufatti simili», altro evidente refuso, dev’essere “in”; corretto.
•IBID.• Nel testo originario: «[…] frutto, come si pensava in passato [sic!] solo di imitazione […]», anche qui manca una virgola; virgola aggiunta.
•IBID.• Nel testo originario: «[…] bisogna ammettere però che i primi umani sono stati proprio i neandertaliani [sic!]», senza ‘h’, come anticipato al punto A·0; marcato con [sic!].
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