2019·08·25 - CorLettura • Pievani·T, Tucci·V • Alle origini del male

Alle origini del male


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Dialoghi
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Che cosa induce un essere umano a diventare San Francesco d’Assisi e un altro a diventare Adolf Hitler: lo scienziato Valter Tucci pubblica un libro sulla natura (genetica? epigenetica? ambientale?) della malvagità. In queste pagine ne discute con Telmo Pievani
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Illustrazione di Angelo Ruta
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conversazione tra Telmo Pievani e Valter Tucci
Corriere – La Lettura — 25/8/2019 (domenica 25 agosto 2019), pp. 14-15.


Tra gli ospiti del Festival della Mente di Sarzana ci saranno Telmo Pievani, che tratterà l’impatto di Homo sapiens sull’ambiente e sta per pubblicare ‹La Terra dopo di noi› (Contrasto, fotografie di Frans Lanting), e lo scienziato Valter Tucci, che esplorerà le origini dei comportamenti malvagi e tra poco sarà in libreria con ‹I geni del male› (Longanesi). Entrambi i libri escono il 29 agosto: «la Lettura» ha chiesto ai due autori di confrontarsi sui temi che hanno affrontato.


Telmo Pievani — Esiste una biologia della cattiveria? Dopo che in molti hanno tentato (invano) di tracciare il profilo genetico di Lucifero, è il momento, scrivi nel tuo libro, di rivolgersi all’epigenetica, cioè a quelle modifiche nella regolazione dei geni che alterano anche lo sviluppo della mente umana.

Valter Tucci — Il tentativo di rintracciare un «codice» genetico del male è fallito. La chiave nuova dell’epigenetica è, paradossalmente, l’indeterminatezza. I geni ci danno informazioni sull’evoluzione, ma non bastano a descrivere gli equilibri del nostro organismo. Per esempio, la tempistica di espressione di un gene è essenziale nello sviluppo del cervello, un organo al quale l’epigenetica conferisce una plasticità unica.

Telmo Pievani — Nell’evoluzione conviene avere geni in grado di produrre caratteristiche diverse, a parità di sequenza del Dna, per reagire prontamente al mutare delle circostanze.

Valter Tucci — Esatto, molti geni, soprattutto quelli associati al comportamento, devono avere una certa flessibilità per esprimere comportamenti diversi in base al contesto.

Telmo Pievani — Epigenetica significa «genomi sensibili all’ambiente», cambiamenti indotti dall’esterno e talvolta ereditabili per alcune generazioni. Perché allora tu dici che le nuove frontiere dell’epigenetica sanciscono una terza via tra innato e acquisito, tra geni e ambiente? A me pare che spostino la bilancia più verso l’ambiente.

Valter Tucci — La dicotomia geni-ambiente, interno-esterno, è semplicistica. La mia terza via riguarda le interazioni tra i geni e la biologia interna, principalmente prenatale, che non è influenzata solo dall’ambiente esterno. Certo, la mamma che fuma o assume droga in gravidanza influenza lo sviluppo neurobiologico del feto. Ma influenze giungono anche dall’interazione tra i corredi genetici materno e paterno, o da meccanismi epigenetici che avvengono solo in una finestra temporale precisa. Quindi il termine «ambiente» va allargato.

Telmo Pievani — Il fatto che certi individui, dalla vita del tutto normale, in determinate situazioni stressanti si comportano in modo crudele (vedi il caso del carcere di Abu Ghraib) può voler dire: sia (1) che le condizioni esterne sono importanti nel plasmare i nostri comportamenti; sia (2) che in tutti quei soggetti vi era una miccia innata pronta a essere innescata dalle circostanze. In che modo l’epigenetica potrebbe sciogliere il dubbio?

Valter Tucci — Sono d’accordo. Nel primo caso, scopriamo nel peggiore dei modi che la nostra plasticità può essere facilmente condizionata, e questo dovrebbe farci riflettere sui nostri limiti. Vale nel caso del contesto bellico di Abu Ghraib, ma potrebbe estendersi, per espressioni diverse di male, a certi contesti religiosi che impongono restrizioni a impulsi sessuali, oppure alle condizioni lavorative. Nel secondo caso, capiamo che non esiste un cervello che sia immune dal male. L’epigenetica è uno strumento di precisione che segna i confini dell’organizzazione del comportamento umano.

Telmo Pievani — sui media abbiamo la pessima abitudine di considerare i geni come un invisibile oracolo interiore che spiegherebbe tutto della nostra personalità. Al contrario tu scrivi che i geni sono destinati a diventare figure secondarie nella comprensione dei comportamenti umani.

Valter Tucci — Sono secondari per i comportamenti umani, ma non necessariamente in altre specie e non per altre funzioni del nostro organismo. In laboratorio troviamo una forte associazione tra alcune varianti genetiche nel topo e comportamenti aggressivi e ansiosi. Ma nella popolazione umana lo stesso rapporto a volte non c’è. Perché? Eppure il funzionamento molecolare è lo stesso. Dipende dal ruolo di quel gene per quella specie e da come viene espresso e regolato.

Telmo Pievani — Nel vostro modello «omnigénico» sostenete che i caratteri complessi e graduati sono dovuti a un numero elevatissimo di piccoli effetti distribuiti su tutto il genoma.

Valter Tucci — In fenomeni complessi come le azioni di un criminale o di un genitore che trascura i figli, un gran numero di geni, organizzato in moduli diversi, contribuisce al comportamento.

Telmo Pievani — Secondo te il genoma materno è il vero leader dell’evoluzione umana. Vuoi dire che l’aggressività è prevalentemente maschile?

Valter Tucci — Hanno ruoli diversi. Mentre il genoma materno guida l’evoluzione di noi ‹Homo sapiens›, quello paterno è uno spettatore quasi passivo, ma con un potenziale bellico a disposizione.

Telmo Pievani — Voi scoprite che una variante genetica o epigenetica è associata a una certa probabilità di commettere reati. Non stiamo parlando di certezze né di correlazioni lineari di causa-effetto, bensì di un risultato statistico. Ma nella mente scatta subito un’associazione: se hai quel gene, sei quasi sicuramente un criminale nato. Allora perché hai scelto un titolo, ‹I geni del male›, che sembra avallare proprio quell’interpretazione fuorviante?

Valter Tucci — In effetti il titolo poteva essere ‹Geni e male›, o ancora meglio ‹Una epigenetica del male›, ma ‹I geni del male› pone da subito sotto esame il ruolo dei geni.

Telmo Pievani — Qui vedo un problema. Tu ed io abbiamo un approccio naturalistico alla questione: la mente è un processo biologico. Che parli di geni o di regolazioni epigenetiche, sempre di processi biologici si tratta. A causa di svariati fattori – neurobiologici, scompensi ormonali, traumi, alterazioni di personalità dovute a variazioni epigenetiche eccetera – alcuni di noi si comportano in modo antisociale in certi contesti. Il nostro cervello è un «campo di battaglia tra geni, genomi e ormoni».

Valter Tucci — Perfettamente d’accordo, l’epigenetica implica comunque una serie di processi biologici.

Telmo Pievani — Ma tu vuoi indagare le origini naturali della «cattiveria». Cioè di una categoria morale. Certo, è sempre il cervello che elabora giudizi morali, ma ciò che tu definisci «male» non è sempre stato tale nella storia: fino a tempi evolutivamente recentissimi l’infanticidio e il cannibalismo, per fare due esempi, non erano affatto «male» in varie culture. Le idee di giustizia e le norme sociali hanno un grado elevato di mutevolezza storica e di relatività culturale, che poco si addice a spiegazioni solo biologiche.

Valter Tucci — Per questo nel libro dico che il male è «riconoscibile in» certi comportamenti, non lo definisco come categoria universale, anzi non lo definisco affatto. Dico che il male è incarnato, per esempio, da un predatore dal quale bisogna fuggire. Queste sono le origini del male che scientificamente si possono delineare.

Telmo Pievani — Si, ma il predatore con il sangue che gronda da denti e artigli sta facendo il suo mestiere nell’ecosistema, non è «cattivo» in alcun senso scientificamente pertinente, e tu lo scrivi. Senza le azioni «cattive» e violente di schiere di nostri antenati, tu ed io oggi non saremmo qui a parlarne. Ma allora tu stai spiegando le cause biologiche dei comportamenti umani antisociali, non le cause biologiche del «male» morale.

Valter Tucci — In molte specie non umane esistono le fondamenta della moralità. Proviamo a distribuire in modo ingiusto due tipi di cibo ad alcune scimmie e vedremo che quella che riceve il cibo meno buono reagirà con aggressività all’ingiustizia subita. Questi comportamenti suggeriscono che la moralità sia codificata biologicamente in specie non umane. La nostra moralità è più complessa, subdola e cognitivamente ricca, ma non mi sentirei di dire che sia una prerogativa solo umana. Poi certo, non sapremo mai se quegli esseri hanno un concetto di male come il nostro.

Telmo Pievani — Io aggiungerei anche le interazioni tra biologia e contesto culturale e sociale. Può l’epigenetica spiegare perché due maschi europei, pur vissuti in epoche diverse, diventano uno san Francesco d’Assisi e l’altro Adolf Hitler?

Valter Tucci — Sì, non ho dubbi, anche se c’è tanto da capire ancora su come tutti gli elementi causali sono collegati. La complessità biologica e l’interazione tra questa e l’ambiente possono spiegare come circa 80 miliardi di neuroni si organizzano in quella che chiamiamo personalità e muovono l’individuo. Quanto siamo distanti dal capire le differenze tra il santo e il dittatore non saprei, la risposta potrebbe arrivare domani o tra cent’anni.

Telmo Pievani — La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 è quanto di meno «naturale» possa esistere, rispetto al nostro passato, eppure aver deciso che dovremmo essere tutti liberi e uguali, considerati con pari dignità, è una delle acquisizioni più belle della mente umana. Un inedito, dovuto all’evoluzione culturale umana. O forse eravamo più coerenti con la nostra «natura» quando, fino a tre anni prima, ci sterminavamo a vicenda?

Valter Tucci — Penso che quello che dici sia giusto. Lo vedo come un gap, un’incoerenza tra la nostra natura e i ragionamenti cognitivi evoluti. Allo stesso tempo penso che, forse sì, siamo più coerenti quando assecondiamo la nostra natura «animale». A riprova, negli ultimi tempi siamo invasi da populisti vittoriosi e fieri di mostrare la loro parte bestiale.

Telmo Pievani — Le vostre ricerche però non offrono attenuanti a nessuno.

Valter Tucci — Nessuna attenuante. Geni, epigenetica, sviluppo, ambiente, circostanze contingenti concorrono a fare un individuo. Non sono entità esterne. E il male dipende dall’individuo, che ne è responsabile. Studiare la biologia di Lucifero non significa scagionarlo. L’io biologico, l’unico esistente secondo me, è libero, perché è un’entità complessa e con una biologia cerebrale non determinata.

Telmo Pievani — Nell’ultimo capitolo affronti il dibattito tra gli ottimisti come Steven Pinker, che sottolineano i progressi ottenuti dall’umanità e la riduzione di mali come la guerra e la povertà, e i pessimisti come Alain De Botton, che temono invece l’accresciuto potenziale distruttivo umano. Entrambi sosteniamo che la mente umana è imperfetta.

Valter Tucci — Mi è piaciuto molto leggere nei tuoi libri che entrambi siamo arrivati a questa conclusione. Penso sia anche dovuto alla differenza tra il nostro pensiero europeo e quello americano.

Telmo Pievani — Tu scrivi che grazie a geni, epigenetica ed esperienza siamo diventati una specie «maledettamente intelligente». Mi piace come definizione, perché sottolinea l’ambivalenza della mente umana. Una specie così intelligente oggi ha per le mani strumenti di trasformazione dell’ambiente mai visti prima. Non ti preoccupa questa miscela di imperfezione e di potenza?

Valter Tucci — Sì molto. E tu lo hai descritto nel libro che hai pubblicato con Frans Lanting. Quello che ho trovato illuminante è stato che per la prima volta ho visto una descrizione così ricca di informazioni sull’evoluzione umana offerta per la causa della trasformazione dell’ambiente. Non abbiamo la soluzione certo, ma hai messo il lettore su una strada che mi sembra la più ragionevole per arrivarci.

Telmo Pievani — Il segreto del nostro successo evolutivo è che cambiamo l’ambiente per i nostri fini. Oggi il processo continua su scala globale, ma potrebbe diventare una trappola. Già ora dobbiamo adattarci, e rapidamente, ai mutamenti ambientali da noi stessi prodotti. Ecco perché secondo me le ragioni degli ottimisti sono formalmente corrette, ma resta sempre una clausola di preoccupazione dovuta alla contraddittorietà della natura umana. Forse dovremmo essere «ottimisti con beneficio d’inventario».

Valter Tucci — Penso che «ottimisti con beneficio d’inventario» sia la definizione più giusta, e scientifica. Nessuno nega il trend statistico illustrato da Pinker, ma secondo me è inutile se non affrontiamo le preoccupazioni sull’ambiente e sulla negligenza cognitiva dell’essere umano. Quando tu nel tuo libro delinei l’incapacità di noi ‹Homo sapiens› di essere lungimiranti, tocchi chiaramente il problema biologico del male nella mente umana. Ti proporrei questo come punto di raccordo tra i nostri libri: abbiamo bisogno di una prospettiva evolutiva e di informazioni precise sulla nostra natura e sull’impatto che hanno le nostre scelte sul futuro del pianeta.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Dei 2 studiosi, è proprio Telmo Pievani a sollevare – non si sa fino a che punto come provocazione – la dicotomia San Francesco / Adolf Hitler come se fosse il classico esempio di contrapposizione tra il Bene e il Male (intesi entrambi come valori assoluti); passando sopra – in apparenza ingenuamente – 2600 anni di riflessioni filosofiche sull’etica, per fare appello a un “senso comune” che non sempre risulta coincidere col buon senso.

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[] https://segnalazioni.blogspot.com/
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