L’illusione della cura
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Psichiatria – È la specialità medica con le più flebili basi scientifiche ed è costruita quasi solo sull’esperienza clinica. Come mai non si trova un modello biologico della malattia mentale?
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di Gilberto Corbellini
Il Sole 24 Ore – Domenica — 01/09/2019 (domenica 1 settembre 2019)
La psichiatria è la specialità medica con le più flebili basi scientifiche. Gli psichiatri usano quasi solo l’esperienza clinica e nessuna scienza per provare ad aiutare persone che pagano pesanti sofferenze psicologiche alla lotta per l’esistenza. Due libri diversamente interessanti discutono il problema di fondo della psichiatria: perché non si trova un modello biologico della malattia mentale, e quali sono state o sono le conseguenze per i malati della mancanza di modelli eziologici delle malattie mentali? Stante che tale mancanza è dovuta alla complessità del cervello, nondimeno consente ai cosiddetti terapeuti di millantare un accesso alla mente malata usando teorie e pratiche pseudoscientifiche, del tipo di quelle psicodinamiche.
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Anne Harrington racconta in modo avvincente e chiaro una storia della psichiatria negli ultimi centocinquant’anni dalla quale emerge una sorta di dialettica tra gli approcci biologici e quelli psicodinamici alla malattia mentale. Alla fine dell’Ottocento, la ricerca di un modello anatomofisiologico della malattia mentale si era ispirata alla paralisi progressiva (neurosifilide), dove il deragliamento mentale era causato da un’infezione batterica. Ne derivò l’idea che si dovesse aggredire il cervello e la diffusione di terapie somatiche come malarioterapia, insulinoterapia, elettroshock, per arrivare al tragico traguardo della lobotomia.
Dietro a quelle “cure disperate” c’era la pericolosa illusione di aver trovato le sedi o le cause dei disturbi psichiatrici. I neuropsichiatri si svegliarono dal sonno della ragione quando, nel nuovo clima morale che condannava gli abusi dei medici perpetrati in nome delle ideologie eugeniche, anche contro i malati di mente, arrivarono gli psicofarmaci. Questi resero accessibili alla comunicazione cervelli fino a quel momento controllabili solo da camicie di forza fisiche. La nuova ecologia umanitaria, consentita anche dal successo della psicoanalisi negli Stati Uniti, lasciava il campo ai modelli psicodinamici, sempre privi di basi scientifiche, ma che grazie alle nuove «camicie di forza chimiche» (così le anime belle chiamavano gli psicofarmaci) conducevano a una gestione politica della psichiatria: il DSM era la nuova costituzione e cosa fosse scientifico o meno lo si metteva ai voti (così l’omosessualità fu espunta del DSM).
Come osserva la Harrington, le credenze pseudoscientifiche delle dottrine psicodinamiche portarono a cercare le cause delle malattie mentali fuori dal cervello, trasformando i malati, i loro parenti e la società in capri espiatori. Le manifestazioni più deteriori di tali settarie credenze furono i movimenti antipsichiatrici, che negavano l’esistenza della malattia mentale.
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Negli anni Settanta e Ottanta, racconta Harrington, veniva riproposta una psichiatria fondata sulla biologia, e che cercava di offrire ai pazienti e ai loro parenti un punto di vista laico. Emergevano modelli biochimici della malattia mentale, che comunque lasciavano a desiderare e il DSM cominciava a girare a vuoto. La situazione rimane incerta. La Harrington sostiene che la storia della psichiatria consiglia agli psichiatri di «fare della modestia una virtù», evitando di medicalizzare condizioni non serie per concentrarsi solo sulle malattie più gravi. Improbabile che seguiranno il suggerimento.
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Alla storica statunitense è sfuggito il caso di Thomas Insel, giunto nel 2002 agli NIH proprio per mettere la psichiatria su più solide basi biologiche e clinico-metodologiche, e che nel 2015 se ne andava a Google, e quindi nel 2017 fondava la start up Mindstrong con l’obiettivo di usare l’Intelligenza Artificiale per costruire una «psichiatrica di precisione». È l’unica concreta speranza. già oggi. Gli algoritmi sono già molto più efficaci degli psichiatri per monitorare la condizione clinica dei pazienti. E in taluni casi sono equivalenti anche come psicoterapeuti.
Anche Bullmore pensa che la psichiatria manchi tragicamente di marker biologici della malattia mentale, ma pare un po’ troppo ossessionata da Descartes, al cui dualismo mente/corpo attribuisce il ritardo scientifico dello studio delle malattie mentali. Sarebbe comodo. La sua idea è che le malattie mentali siano causate da infiammazioni, cioè da reazioni immunitarie contro infezioni per cui citochine e macrofagi aggredirebbero anche la rete nervosa che sostiene le precarie architetture cognitive ed emotive del cervello. In prospettiva, potremmo aspettarci di curare depressione e schizofrenia con antinfiammatori. L’idea non è così originale.
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Negli anni Venti andava di moda una teoria igienica o batteriologica della malattia mentale di cui fu leader il medico Henry Cotton, che trattava chirurgicamente i disturbi mentali asportando a persone sane organi che erano ricettacoli di infezioni, come il colon, i denti, l’appendicite [sic!], etc. Una vicenda triste, ripresa anche nella serie ‹The Knick›. Gli anti-infiammatori sono meno rischiosi. L’ipotesi che sistema nervoso e sistema immunitario dialoghino funzionalmente risale a metà anni Venti (ma Bullmore sembra ignorarlo), quando si riuscì a condizionare pavlovianamente la risposta immunitaria, in modo non specifico. Ora si immagina che sia sistema immunitario a condizionare il comportamento e causarne le degenerazioni patologiche. Bullmore ritiene evolutivamente plausibile l’idea, in quanto ad esempio se una risposta immunitaria contro un agente infettivo causasse anche la depressione, la conseguenza sarebbe che l’individuo non andrebbe in giro a infettare gli altri. Suggestivo, ma poco credibile. Le infezioni dei nostri antenati dediti a caccia e raccolta erano assai poco contagiose.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Le 2 opere recensite, di cui il testo di Corbellini non fa menzione – sarà una nuova strategia giornalistica? – dovrebbero essere:
- Anne Harrington, ‹Mind Fixers: Psychiatry's Troubled Search for the Biology of Mental Illness› (2019);
- Edward Bullmore, ‹The Inflamed Mind: A radical new approach to depression› (2018).
NOTA: la fonte secondaria dalla quale abbiamo tratto il testo non contiene evidenziazioni in corsivo; le abbiamo introdotte in questa versione per i titoli di opere – in pratica solo per la serie tv ‹The Knick› (2014-2015), il cui titolo è oltretutto in inglese. I titoli dei volumi recensiti – uno di Ann (Anne) Harrington, e un altro di un certo Bullmore, del quale non è indicato neppure il nome – non vengono neppure menzionati; forse lo erano in appositi riquadri?
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NOTA: il DSM è il famigerato ‹Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders›, in italiano ‹Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali›, un manuale basato su un sistema nosografico in aggiornamento continuo ma mirante essenzialmente all’intervento farmacologico (si veda https://it.wikipedia.org/wiki/Manuale_diagnostico_e_statistico_dei_disturbi_mentali).
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•IBID.• «Gli algoritmi sono già molto più efficaci degli psichiatri […] E in taluni casi sono equivalenti anche come psicoterapeuti»: il che non depone bene né per gli uni né per gli altri.
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•IBID.• Nel testo originario: «L’ipotesi […] risale a metà anni venti [sic!] […]»; ma decenni e secoli andrebbero scritti con l’iniziale maiuscola, per cui dovrebbe essere “Venti”; corretto.
•IBID.• «[…] se una risposta immunitaria contro un agente infettivo causasse anche la depressione […] l’individuo non andrebbe in giro a infettare gli altri»: in realtà, al tempo dei cacciatori-raccoglitori, data la scarsa densità di popolazione, un individuo aveva maggiori probabilità di contagiare qualcun altro del suo gruppo restando “a casa” (magari in grotta), piuttosto che andandosene in giro.
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