Negazionisti a Bruxelles
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In copertina | Storia
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Come diceva Primo Levi, se non si poteva pensare al nazismo senza lager, è invece possibile ipotizzare un socialismo senza gulag. Perdere di vista queste differenze fondamentali, come fa la risoluzione Ue, significa innanzitutto non capire cos’è stato nella sua essenza il nazismo
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La sinistra sembra incapace di proporre alternative alla destra liberista e cattolica
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Remake di un manifesto iconico della seconda guerra mondiale del 1941 realizzato dell’artista illustratore Nathan Nun che si ispira e reinterpreta i poster dell’era sovietica con i gatti come protagonisti
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di Elisabetta Amalfitano
Left n. 40 — 04/10/2019 (venerdì 4 ottobre 2019), pp. 10-11.
Ciclicamente, con cadenza regolare, emerge dalle pagine dei giornali, dalle aule parlamentari, dai libri di storia un mantra col sibilo del serpente, il veleno dello scorpione, la viscidità dell’anguilla: il nazismo è stato violento quanto il comunismo. Hitler non ha fatto niente di più e di peggio di Stalin.
L’ultimo rigurgito di revisionismo storico proviene però questa volta dal Parlamento europeo che, il 19 settembre, ha votato a stragrande maggioranza un documento dove i due totalitarismi del Novecento vengono equiparati in termini di violenza e oppressione, in nome di un’Unione europea volta all’amore e alla fratellanza tra i popoli (cfr. ‹left.it/risoluzione›, 𝑛𝑑𝑟).
Rispetto alle polemiche degli anni Ottanta, che hanno diviso l’opinione pubblica tra revisionisti e anti-revisionisti, il testo in questione sconvolge per la pochezza e l’ignoranza di motivazioni e intenti: il patto Molotov-Ribbentrop individuato come causa della Seconda guerra mondiale; il revisionismo storico menzionato come pericolo da scongiurare — non rendendosi conto che lo stesso documento è un esempio lampante di detta revisione della storia —; l’annullamento di qualsiasi unicità dei crimini nazisti, che diventano così una violenza come tante all’interno della storia degli esseri umani. A leggere i giornali sembra di essere catapultati, per certi versi, alla metà degli anni Ottanta in Germania quando scoppiò l’‹Historikerstreit›. Il "dibattito sulla storia" divise allora l’opinione pubblica tedesca in due fronti: sul fronte conservatore si collocavano i "revisionisti", cioè coloro che intendevano proporre una definizione e un’interpretazione del nazismo diverse da quelle correnti e definivano il nazismo come «risposta alla paura del comunismo»; sul fronte progressista stavano invece gli "anti-revisionisti" che rivendicavano l’unicità del genocidio nazista. Ernst Nolte era il rappresentante degli intellettuali conservatori, Habermas quello dei progressisti. «Basta con questa storia dei tedeschi cattivi: mettiamoci una pietra sopra e voltiamo pagina, in fondo anche i russi hanno commesso dei crimini, anzi loro li hanno fatti prima di noi!», dicevano a destra. «È giunto il momento che la Germania capisca perché ha reso possibile una simile tragedia, come i tedeschi abbiano potuto chiudere gli occhi», si domandavano a sinistra. Allora — era il 1986 e il Muro di Berlino non era ancora crollato — l’obiettivo dei conservatori era chiaro: restituire alla Germania dell’Ovest una memoria storica di cui non doversi più vergognare e additare la Germania dell’Est come vicina altrettanto violenta e oppressiva.
Oggi, a trentatré anni di distanza, quelle parole che erano in bocca agli storici più destrorsi vengono condivise dalla maggioranza del Parlamento europeo (sic!). E non c’è più traccia — come invece c’era allora — di una sinistra che si chieda come sia stata possibile una simile tragedia umana e cerchi di capire cosa sia stato il nazismo.
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A trent’anni dalla caduta del muro il dibattito si è avvelenato travestendosi da ingenuo buonismo che non solo toglie le differenze, ma che legge e interpreta la storia come fosse un liceale che, senza voglia di studiare, si prepara con la leggerezza e la superficialità delle nozioni apprese sui social e sulle pagine della rete. L’espressione «totalitarismo» fu utilizzata a partire dagli anni Cinquanta del ’900 per indicare insieme quei fenomeni storici del secolo — nazismo, fascismo e comunismo — che si erano contraddistinti per l’ideologia del capo, la violenza, il terrore, l’uso della propaganda, ma che, al tempo stesso, erano assolutamente diversi tra loro. Innanzitutto il nazismo fin dalle sue origini teorizzava (nel ‹Mein Kampf› di Hitler) la sparizione di ebrei, slavi, zingari e di tutti coloro che impedivano la costituzione del ‹Lebensraum› (spazio vitale) tedesco; inoltre i tedeschi ariani erano diversi dalle altre popolazioni da un punto di vista biologico-razziale; infine i lager tedeschi furono costruiti prima come campi di lavoro e poi di sterminio per far sparire un popolo intero. Il nazismo si presenta quindi nella storia dell’uomo come un unicum: per la prima volta viene costruita un’enorme macchina bellica in grado di eliminare dalla faccia della terra più di sei milioni di persone. Nei testi di Marx, al contrario, il comunismo viene presentato come una fase finale economico-sociale dell’essere umano in cui non ci saranno più diseguaglianze e proprietà privata; i comunisti sono diversi dai borghesi capitalisti non biologicamente ma in quanto non detengono la proprietà privata e lottano per l’uguaglianza tra i popoli; infine i gulag staliniani sono stati campi di lavoro rieducativi in cui si moriva quasi sicuramente, ma non pensati per l’eliminazione fisica di milioni di esseri umani.
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Come sosteneva Primo Levi, se non era possibile pensare al nazismo senza lager, è invece possibile ipotizzare un socialismo senza gulag. Perdere di vista queste differenze fondamentali significa innanzitutto non comprendere cos’è stato nella sua essenza il nazismo: la messa in atto della sparizione di un popolo intero dalla faccia della terra; significa inoltre dimenticare non solo il primo e unico messaggio di liberazione ed emancipazione che la storia dell’uomo ha prodotto — «proletari di tutto il mondo unitevi» — ma anche il tentativo di un’alternativa al liberismo sfrenato per un’equa distribuzione delle ricchezze. Non comprendere cosa sia stata la bestia nera del nazionalsocialismo e chiudere tutta l’esperienza comunista come esclusiva esperienza totalitaria di massa è ancor più grave oggi con le tendenze dell’ultradestra che minacciano l’Europa e una sinistra che sembra non uscire da un coma irreversibile che la rende incapace di proporre qualsiasi alternativa economico-sociale alla destra liberista e cattolica.
Il documento del Parlamento europeo dunque ci insegna ancora una volta quanto è importante lo studio e la comprensione della storia: essere un buono storico significa confrontare e interpretare in maniera profonda i fatti accaduti e non giustificarli o derubricarli. Le buone interpretazioni ci preservano da incubi ed errori ricorrenti. «Conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate», P. Levi, ‹Se questo è un uomo›.
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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