2019·11·15 - Left n. 46 • Iacarella·A • L’apocalisse è solo un fatto umano

L’apocalisse è solo un fatto umano


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Cultura | Etnologia
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Doveva essere il suo lavoro più audace, ‹La fine del mondo›, ma Ernesto De Martino morì prima di concluderlo. Ora una nuova edizione degli scritti preparatori raccoglie le sue tesi su quello che intendeva come fenomeno mitologico e culturale che rimanda alla crisi della presenza del sé
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Oggi, a distanza di 50 anni, esce per Einaudi un’edizione completamente rivista del suo ultimo lavoro
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di Andreas Iacarella
Left n. 46 — 15/11/2019 (venerdì 15 novembre 2019), pp. 56-57.


«Io non riesco a collocarmi al di fuori degli uomini viventi in rapporto fra di loro… C’è sempre il rapporto degli uomini al livello della coscienza o al livello dell’inconscio… Quello che conta resta… la dinamica dei viventi tra loro». Con queste parole si conclude l’ultima intervista di Ernesto De Martino, rilasciata a ‹L’Europeo› in ospedale poco prima di morire, a maggio del 1965. In queste frasi c’è tutto il senso di una vita appassionata di ricerca, passata ad inseguire quello che sembrava l’impossibile riavvicinamento tra le due sfere dell’esistenza, la coscienza e l’inconscio.

Ernesto De Martino non è stato un pensatore piano. Vissuto tra due momenti culturali estremamente differenti, il suo lessico deve molto a Croce, Heidegger, Binswanger. Ma in quelle che sembrano parole altrui, l’etnologo ha instillato un senso nuovo, avventurandosi coraggiosamente in territori inesplorati. Questa certamente una delle ragioni che per decenni hanno impedito una piena comprensione del suo pensiero; oggi che invece il dibattito accademico è particolarmente vivo, la sfida dovrebbe diventare quella di riuscire a portare ad un pubblico ampio il nucleo teorico della sua indagine.

Alla sua morte, De Martino lasciò appena abbozzato quello che doveva essere il suo lavoro più audace, ‹La fine del mondo›. Un testo denso, nel quale, muovendosi tra le varie discipline, l’etnologo avrebbe voluto indagare il tema della fine del mondo sotto una moltitudine di aspetti: dalla «apocalisse psicopatologica», a quelle presenti in diverse mitologie e contesti culturali, fino alla più stringente modernità. Dopo alcune peripezie, l’enorme massa di appunti e materiali preparatori fu sistemata da Clara Gallini, che la diede alle stampe nel 1977 (e una seconda volta nel 2002). Ma da allora si è sempre sentita la necessità di un’edizione maggiormente ragionata e corale, che rendesse il testo più fruibile.

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Oggi, a distanza di più di cinquant’anni dalla scomparsa dell’autore, esce per Einaudi una nuova edizione, completamente rivista da Giordana Charuty, Daniel Fabre e Marcello Massenzio. Ai curatori va il merito di aver sfrondato lo scritto di tutta una serie di annotazioni e passaggi che poco aggiungevano, rendendo più organici e riconoscibili i singoli nuclei tematici. Le note introduttive mettono inoltre a fuoco la natura del testo che, come sottolinea Fabre, non è tanto un’indagine storico-religiosa di tipo comparativo, quanto piuttosto una vera e propria ontologia. Il cuore dell’opera è la «condizione umana in generale».

Seguendo lo scrivere, ora rigorosissimo, ora diretto e passionale di De Martino si ha la netta sensazione di essere travolti da un pensiero impetuoso nell’atto del suo farsi. Impossibile riassumere, anche solo per accenni, la moltitudine di intuizioni, spunti, formulazioni che si susseguono nelle più di cinquecento pagine del testo. Ma è doveroso provare a individuare quelli che sono alcuni degli snodi più innovativi contenuti in quest’opera fondamentale, per provare a tracciare le linee generali del pensiero demartiniano.

L’aspetto certamente più noto della ricerca di De Martino sono le spedizioni etnografiche in Lucania e in Salento, durante le quali indagò i rituali funebri e il tarantismo. Questi furono però solo due momenti di un filo di ricerca coerente e di ampio respiro, che partiva almeno dal 1948 con la pubblicazione de ‹Il mondo magico›. Grazie all’indagine sul campo lo studioso vide incarnato e poté approfondire quel suo fondamentale assunto teorico, già precedentemente abbozzato, che è la crisi della presenza. Nel fronteggiare momenti particolarmente critici dell’esistenza, l’individuo può andare incontro al rischio di perdita dell’unità della propria persona, del senso della propria esistenza. In contesti culturali in cui sono operanti istituti magici, questa labilità della persona può essere risolta collettivamente con rituali di riscatto. Questa profonda consapevolezza della condizione umana trova uno sviluppo ancora più maturo ne ‹La fine del mondo›. Qui con la nozione di «ethos trascendentale del trascendimento», De Martino ha voluto individuare una risposta vitale al problema iniziale della crisi della presenza. Superando l’«esserci nel mondo» heideggeriano come «esser perduti in esso», come «essere per la morte», ha scritto Amalia Signorelli, ha proposto invece un «doverci essere nel mondo», uno «slancio di valorizzazione della vita» contro la minaccia dell’annientamento. Il riscatto positivo dalla situazione di perdita di sé come orizzonte umano possibile. Così si comprende anche la doppia natura del capolavoro postumo di De Martino, l’indagine che si muove tra i fenomeni storico-culturali e le manifestazioni individuali psicopatologiche. Un duplice sguardo, tra cultura e individuo, estremamente attento a distinguere, ma anche a tenere ferma una prospettiva unitaria di pensiero. Alla luce di quanto detto, verrebbe da muovere qualche critica ad alcune scelte editoriali di questa nuova edizione, in particolare quella di ridisegnare completamente l’ultimo capitolo. Quello che nell’edizione curata da Clara Gallini si sentiva come l’apice di un crescendo vertiginoso, tutto incentrato sull’ethos del trascendimento, appare ora depotenziato, accorpato com’è con scritti filosofici di altra provenienza. Di fondo sembra di poter intravedere l’intenzione interpretativa, legittima certo ma non per questo non criticabile, di voler rappresentare l’interesse di De Martino per gli aspetti non coscienti dell’esistenza come esclusivamente strumentale ai fini di quella che era una pura speculazione filosofica.

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Il rapporto demartiniano con le scienze della mente fu invece una costante di tutto il suo percorso di vita e di pensiero, un dialogo mai passivo, ma sempre critico (come testimoniato anche dalle «Obiezioni a Freud», espunte da questa edizione). De Martino volle il giovane psichiatra Giovanni Jervis con sé nella spedizione pugliese, e discusse a lungo con un altro psichiatra, Bruno Callieri, con il quale secondo un primo progetto doveva essere coautore dell’indagine sulla fine del mondo. Poi decise di fare da solo: non per disistima verso lo psichiatra, ma forse perché sentiva l’esigenza di una ricerca che superasse a pieno la ‹Daseinsanalyse›. Un profondo ateismo lo aveva portato a criticare la psichiatria esistenzialista, che restava chiusa in un orizzonte mitico-rituale di tipo sacrale.

Pur riconoscendo il valore di questa nuova edizione, la speranza è dunque che le discussioni che verranno potranno approfondire questo enorme sforzo di ricerca. Certo incompiuto e irrisolto, ma che al centro aveva una visione radicalmente positiva dell’essere umano e delle sue possibilità, scevra di ogni afflato religioso. «La condizione umana — si legge sempre in ‹La fine del mondo› — è caratterizzata dalla risoluzione di ciò che diviene nella permanenza di ciò che vale…. Questo innalzarsi è la condizione umana, che può essere perduta nel senso del naufragio della presenza (psicosi e nevrosi), ma non mai oltrepassata, come pretendono magia e religione». In questa sfida sta l’umano.



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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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[A·4]• «Oggi […] esce per Einaudi una nuova edizione, completamente rivista da Giordana Charuty, Daniel Fabre e Marcello Massenzio»: Iacarella non lo specifica, ma questa edizione italiana è la traduzione dell’edizione francese, pubblicata nel 2016 col titolo ‹La fin du monde. Essai sur les apocalypses culturelles›; uno dei 3 curatori, e precisamente quel Daniel Fabre che è citato poco oltre nello stesso cpv., è deceduto il 23 gennaio 2016, prima di poter vedere la pubblicazione del volume in Francia.

[A·7]• Nel testo originario, «[…] perché sentiva l’esigenza di una ricerca che superasse a pieno la Daseinsanalyse [sic!]»: ‹Daseinsanalyse› non è evidenziato in corsivo, mentre dovrebbe esserlo non solo in quanto termine in lingua straniera – peraltro l’unico nell’articolo – ma anche in quanto termine tecnico di una disciplina specifica; evidenziato in corsivo.

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