Il diritto di scrivere a mano
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Società | Salute
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La calligrafia è un tratto identitario come la voce e le impronte digitali. La capacità di tracciare la linea che forma la scrittura è specifica della specie umana e il modo in cui viene espressa rappresenta l’unicità dell’individuo. Per questo saper scrivere è importante
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Lo scrivere in stampato frammenta le lettere delle parole e non esprime la continuità dell’atto del pensare
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La scelta del solo digitale si fonda sulla convinzione che sia impossibile il recupero del bambino disgrafico
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Per prevenire la disgrafia, la scuola ha un ruolo chiave, a partire da quella dell’infanzia
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di Diana Donninelli
Left n. 3 — 17/01/2020 (venerdì 17 gennaio 2020), pp. 32-35.
C’è una ricorrenza che qui in Italia è poco nota sebbene celebri un tema dalla valenza universale. Ci riferiamo al 23 gennaio, che negli Usa è il National Handwriting Day (Giornata nazionale della scrittura a mano). Perché questa data? Perché è il giorno della nascita di John Hancock, la cui “firma”, una tra quelle apposte alla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, ha colpito il Nord America per la sua eleganza e solennità.
Sul tema della calligrafia e della sua importanza, in Italia è stata lanciata “La Campagna per il diritto di scrivere a mano” dall’Istituto grafologico internazionale G. Moretti di Urbino, per far dichiarare all’Unesco la scrittura a mano Patrimonio dell’Umanità.
Come mai la scrittura a mano è così importante? La capacità di tracciare la linea che forma la scrittura è specifica della specie umana e il modo in cui questa viene vergata sul foglio rappresenta l’unicità dell’individuo: la calligrafia è un tratto identitario al pari della voce e delle impronte digitali. La scrittura racconta la storia dell’uomo e nella scrittura noi riveliamo noi stessi e diamo forma alle nostre caratteristiche personali più profonde.
Imparare a scrivere in corsivo significa avere la possibilità di affermare e delineare la propria identità. La scrittura in corsivo, che rappresenta un’espressione personale creativa, migliora la capacità di lettura, potenzia la capacità di attenzione, aumenta la concentrazione e favorisce il pensiero critico. Questi sono solo alcuni dei vantaggi enumerati nel manifesto de “La Campagna per la valorizzazione della scrittura a mano”. Per esempio, nel prendere appunti a mano non è possibile scrivere tutte le parole ascoltate come si può fare scrivendo con un tablet. Si è obbligati a fare una scelta su cosa scrivere e a sintetizzare: questo processo accelera l’apprendimento e favorisce la memorizzazione.
Da alcuni decenni neurologi, antropologi e linguisti, tra cui vogliamo citare Francesco Sabatini, stanno ripercorrendo la storia della scrittura per indagare e scoprire il significato della sua invenzione nell’esperienza sensoriale.
Nel libro di Benedetto Vertecchi ‹I bambini e la scrittura› (F. Angeli ed.) ci viene detto che la pratica di tracciare la linea nella scrittura è collegata alla capacità di coordinare il pensiero e l’azione; l’esercizio continuo dello scrivere fa crescere e conservare questa capacità di integrazione.
La scorrevolezza del corsivo segue la fluidità del pensiero e, come alcuni esperti ritengono, oltre a legare le lettere delle parole aiuta lo svolgersi del pensiero. Lo scrivere in stampato, invece, frammenta le lettere delle parole e non esprime la continuità dell’atto del pensare.
Inoltre, alcuni studi americani dimostrerebbero che la scrittura manuale legata accende molteplici aree cerebrali, perché implica capacità visive, viso motorie, viso costruttive molto superiori al semplice digitare su una tastiera o utilizzare il tablet.
Ovviamente non c’è nessun antagonismo tra la pratica di scrittura manuale e quella digitale. Dobbiamo dare ad ognuna di esse il loro valore e avere un corretto addestramento per entrambe; non si può però pensare di abbandonare la scrittura a mano a favore di quella digitale e vedere in quest’ultima la soluzione di tutti i problemi. Il corsivo deve, quindi, essere tutelato e insegnato ai bambini. A questo riguardo è importante tenere presente che l’insegnamento della calligrafia è stato presente nei programmi ministeriali fino alla fine degli anni 60 e inizio degli anni 70.
Da allora in poi le indicazioni ministeriali non sono ben definite a questo riguardo: si parla di insegnamento della scrittura intesa sia come abilità grafica sia come capacità di scrivere un testo.
Alcuni pedagogisti ritengono che molte diagnosi che riguardano i disturbi della scrittura, come la disgrafia e la disortografia, derivino dalla carenza di spiegazioni, dimostrazioni e esercizi adeguati, e dalla mancanza di un’educazione alle forme e agli spazi oltre che di un esercizio costante.
•[A·12]• ~
Quanto detto trova conferma nei risultati dell’esperimento “Nulla dies sine linea”. Tale esperimento, organizzato dal laboratorio di Pedagogia dell’Università di Roma Tre e realizzato nelle classi terze, quarte, quinte di due scuole primarie, prevedeva un quarto d’ora di scrittura quotidiana, rigorosamente manuale. Al termine della sperimentazione, tutti gli alunni hanno migliorato il loro modo di scrivere sia da un punto di vista grafico sia testuale. Per dare il senso della difficoltà di apprendere la scrittura condivido una suggestione evocata da Francesco Sabatini nell’intervento “Leggere e Scrivere” (si può facilmente reperire su Youtube, 𝑛𝑑𝑟)
•[A·13]• ±?
Secondo il professor Sabatini, il bambino, nei cinque anni di scuola primaria, nell’apprendere la lingua scritta, ripercorre le tappe che i popoli della mezza luna fertile, a partire da più di cinquemila anni fa, hanno attraversato per rappresentare con segni visibili i suoni uditi. E per arrivare alla scoperta della scrittura alfabetica hanno impiegato duemila anni.
Cos’è la disgrafia: facciamo chiarezza
__________Parla Silva Stella, pediatra e psicologo clinico, resp. medicina preventiva età evolutiva Asl RM6
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• Dottoressa Stella, nella disgrafia sono compromesse delle abilità di base che afferiscono all’area di sviluppo psico-motorio, senza deficit neurologico o intellettivo. Il mondo scientifico come interpreta questo fenomeno?
La disgrafia rientra fra le difficoltà di tipo percettivo-motorio, investe la scrittura dal punto di vista della forma e non del contenuto; ad oggi l’origine non è stata ancora dimostrata scientificamente.
Il modello medico attribuisce alla disgrafia cause neurobiologiche innate e suggerisce di utilizzare come terapia, strategie dispensative e compensative. Il modello psico-pedagogico sfruttando la plasticità del cervello suggerisce di sollecitare e potenziare l’apprendimento del segno grafico con l’esercizio continuo e mirato.
• Come potremmo definire la scrittura da questo punto di vista?
La scrittura è una disciplina motoria e necessita di abilità di coordinazione oculo-manuale, d’integrazione spazio-temporale, di attenzione e di memoria. La lingua scritta non si acquisisce spontaneamente come il linguaggio fonico, ma deve essere appresa.
• Quali sono gli organi di senso che vengono utilizzati nella scrittura e nella lingua parlata?
La lingua scritta coinvolge vista e tatto, diversamente dalla lingua parlata che coinvolge solo il canale uditivo. I terminali nervosi delle dita della mano sono potenti stimolatori del cervello. Per eseguire il segno grafico si coinvolge la sensorialità di tutto il corpo, basta pensare al contatto dei polpastrelli della mano con la pagina scritta; si integra così corpo e mente. I bambini con difficoltà percettive non hanno problemi a ricevere il segnale sensoriale uditivo o visivo, ma piuttosto hanno problemi a “tradurre correttamente” le informazioni che provengono dagli organi di senso coinvolti. Per la scrittura i canali percettivi che devono essere ben tradotti sono quello visivo e quello tattile; inoltre è necessaria l’organizzazione spazio-temporale e la sua interiorizzazione.
• Quali potrebbero essere, alla luce delle attuali conoscenze, le cause della disgrafia?
•[B·4r]• ±?
La fisiologia dello sviluppo potrebbe aiutarci ad individuare i passaggi evolutivi in cui si stabiliscono i rapporti fra percezione e pensiero. Potremmo tentare una ricerca, riferendoci alla teoria della nascita di Massimo Fagioli. Lui parte dal presupposto che la linea non esiste in natura, ma emerge dal corpo del bambino, quando verso la fine del primo anno di vita, percepisce la propria immagine allo specchio, poiché la vista è ormai matura. Può così disegnare con la fantasia una linea intorno al proprio volto. Linea che dà senso al volto. Il bambino conosce se stesso, si vede per la prima volta, ha la certezza, la verità della sua percezione, può pensare “sono io”. Percezione cosciente e fantasia si fondono e grazie alla linea, che ne traduce correttamente le informazioni, si ha la certezza della propria identità. Con la linea si struttura lo spazio, inizia il processo di autonomia, che con il tempo dà il via all’integrazione di tutte quelle abilità che saranno necessarie per la scrittura.
• A questo punto cosa accade?
•[B·5r]• ±?
Inizia l’esperienza percettiva della grandezza e lunghezza, delle coordinate orizzontali-verticali e le relazioni spaziali organizzate si interiorizzano. Poi dovranno passare cinque - sei anni, prima che la mano diventi lo strumento che collega l’azione al pensiero, grazie al segno grafico. Un difetto di rapporto tra percezione e fantasia o una perdita successiva di questa fusione, per realtà legate a difficoltà relazionali che possono confondere il bambino, influiranno sull’integrità dell’acquisizione di quelle abilità psico-motorie che sono alla base della disfunzione grafica. La linea, prima solo pensata, poi anche tracciata non potrà tradurre il senso “profondo” della percezione, quello fuso al pensiero non cosciente.
• È possibile prevenire la disgrafia?
Per la prevenzione di questo disturbo sarà necessaria la massima attenzione alle relazioni affettive familiari e scolastiche. Il ruolo della scuola è fondamentale, a partire da quella dell’infanzia. Non si dovranno abbandonare quelle attività di tipo motorio-percettivo e grafico che preparano gli alunni alle abilità di base. Per esempio, l’uso del pennello per rafforzare la muscolatura della parte radiale della mano, l’uso corretto dell’impugnatura della matita, affinché la mano sia tonica e non senta dolore, e una corretta postura di seduta.
• Nella scuola primaria è più opportuno insegnare il corsivo o lo stampato maiuscolo?
C’è una scuola di pensiero che ritiene sia meglio insegnare ai bambini disgrafici solo lo stampato maiuscolo, che da un punto di vista grafo-motorio è sicuramente più facile da imparare. È un segno spezzettato che si realizza come rette, cerchi e viene prodotto su un’unica riga. Non c’è un sopra e un sotto la riga, non ci sono cambi di direzione, né la necessità di legare le lettere fra loro.
Ne consegue che l’uso del corsivo viene interpretato come un accanimento, una pretesa a far imparare una forma complessa a chi ha difficoltà percettivo-motorie; in realtà è uno strumento di prevenzione, diagnosi e terapia. C’è poi chi prescrive l’uso esclusivo del computer per i disgrafici come unico mezzo per scrivere; questa soluzione, soprattutto se inserita precocemente, durante la scuola primaria, non permette l’avvio alla scrittura e non considera l’importanza della riabilitazione grafica. La scelta del digitale si fonda sulla convinzione dell’impossibilità del recupero. È vero che il corsivo necessita di maggiore sforzo da parte del bambino, ma è utile a reintegrare quelle abilità che impegnano pensiero, memoria, percezioni, e affina capacità cognitive e di coordinamento, fa crescere, fa conoscere sé stesso. Ogni calligrafia è unica e personale. Il disgrafico con l’uso del corsivo recupera la propria identità.
Diana Donninelli
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Tanto l’articolo quanto l’intervista sono centrati sul problema della “disgrafia” o “disfunzione grafica”, ma con questi termini – in modo un po’ fuorviante – s’intende l’incapacità di scrivere correttamente i segni alfabetici – mentre “disortografia” riguarda abbastanza intuitivamente le carenze ortografiche della scrittura; non viene invece presa in alcuna considerazione la capacità di eseguire disegni, che di norma precede la pratica della scrittura. Ed è curioso, perché dal fagioliano “conoscere se stesso” del bambino davanti allo specchio sarebbe logico passare alla rappresentazione grafica (nel senso del disegno) prima di passare alla scrittura vera e propria. Verrebbe quindi da chiedersi se i bambini “disgrafici” (nel senso della scrittura) abbiano già manifestato segni di “disgrafia” (nel senso del disegno), e in questo caso se non sia possibile e opportuno anticipare diagnosi e contromisure a questa prima fase, invece di attendere la seconda.
NOTA 1: occorre comunque dire che anche a livello teorico il collegamento tra disegno e scrittura non sembra molto chiaro, come se le 2 attività si sviluppassero in parallelo e non sequenzialmente; si veda ad esempio wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Disgrafia).
NOTA 2: non è chiaro se l’articolo e l’intervista riguardino le normali modalità di apprendimento della scrittura (come indurrebbe a ritenere il titolo principale) oppure gli specifici disturbi, intesi come “patologie”, che riducono la capacità di scrivere o ne rallentano l’acquisizione (questo sembra l’argomento specifico dell’intervista, come evidenziato dal suo titolo); si parla estensivamente della “disgrafia”, assai meno della “disortografia”, ma ad esempio non si dichiara quale sia la percentuale di bambini “disgrafici”, se sia in aumento o in diminuzione, né si fa un’analisi della loro distribuzione dal punto di vista sociale (per genere, per livello economico o culturale della famiglia di provenienza, per area geografica ecc.), come se tutti questi fattori fossero irrilevanti.
NOTA 3: in realtà, la “disgrafia” includerebbe anche la difficoltà nello scrivere (o trascrivere) i numeri, e in questo caso si registrerebbe una contiguità con la “discalculia” (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Discalculia); questo è un altro aspetto che non viene minimamente preso in considerazione.
•[A·12]• Nel testo originario: «[…] (si può facilmente reperire su Youtube, 𝑛𝑑𝑟) [sic!]», manca il punto finale del cpv.; corretto.
•[A·13]• «[…] le tappe che i popoli della mezza luna fertile, a partire da più di cinquemila anni fa, hanno attraversato per rappresentare con segni visibili i suoni uditi»: per la precisione, l’impresa degli scribi della “Mezzaluna fertile” non fu quella di “rappresentare con segni visibili i suoni uditi”; la scrittura cuneiforme rappresentava infatti all’inizio direttamente i concetti; fu solo con il passaggio da Sumer ad Akkad – questi secondi utilizzando una lingua semitica – che gradualmente si affermò la valenza (anche) acustica dei segni scritti. Persino oggi, la corrispondenza tra scrittura alfabetica e suono udito o pronunciato è in realtà soltanto approssimativa – più o meno approssimativa a seconda delle diverse lingue, si pensi all’inglese o al francese – e nessuna lingua “naturale” realizza una corrispondenza perfetta.
NOTA: in ogni caso, per imparare a scrivere oggi non è necessario passare di nuovo per la scrittura cuneiforme, dunque questo “ripercorrere le tappe” non è da intendere alla lettera.
•IBID.• «[…] per arrivare alla scoperta della scrittura alfabetica hanno impiegato duemila anni»: ma fu una “scoperta” oppure una “invenzione”?
•[B·4r]• Nella risposta, «Percezione cosciente e fantasia si fondono e grazie alla linea, che ne traduce correttamente le informazioni […]», quali informazioni, quelle della percezione? E in che senso le “traduce”? In questo passaggio si ha l’impressione di un mescolarsi di termini e di concetti (linguaggi) incompatibili; forse si tratta di una sintesi eccessivamente sbrigativa.
•[B·5r]• Nella risposta, «Inizia l’esperienza percettiva della grandezza e lunghezza, delle coordinate orizzontali-verticali e le relazioni spaziali organizzate si interiorizzano», anche in questo caso, cosa significhi l’“interiorizzarsi” delle dimensioni spaziali (“coordinate” implicherebbe una valorizzazione numerica) non è del tutto chiaro.
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