Un analista che rifiuta Freud
✩ (Arkbase)
di Fulvio Stinchelli
il Messaggero — 9/11/1977 (mercoledì 9 novembre 1977)
•[A·1]• ±
Quarantasei anni, faccia scavata e sguardo ardente dietro le lenti fumé, un passato di rissoso eretico freudiano alle spalle, Massimo Fagioli è oggi lo psicoanalista italiano di gran lunga più seguito e ascoltato. Da due anni, nello spazio universitario concessogli dall’illuminato pluralismo del professor Reda per l’intercessione del suo amico e collega Nicola Lalli, tiene seminari bisettimanali sempre più affollati. Terapia di gruppo? Psicodramma? L’autore di «Istinto di morte e conoscenza» respinge seccamente queste definizioni-etichetta che lo «soffocano», dice, «senza appartenergli».
•[A·2]• ~
Mezzo scienziato e mezzo profeta, rinnega paternità, filosofie e ideologie: Freud? Un pasticcione. Lacan? Un altro che non ha capito niente. La psicoanalisi? Sì, purché sia quella che passa per l’«inconscio marecalmo» [sic!], la «fantasia di sparizione» e l’«istinto di annullamento» [sic!]. Sono questi i tre cardini della «scoperta» su cui ruotano ossessivamente la dottrina e la «predicazione» di Fagioli.
Lo incontriamo nel suo quieto studio di via Nomentana, in una cornice rigorosamente freudiana: pochi libri, quadri anonimi, scrittoio modesto, poltrone comode e il sacro divanetto. Osserviamo. «Qualcosa di Herr Professor comunque rimane». Risponde: «Restano le analisi individuali che continuo a fare, perché i seminari sono gratuiti, ma il mio vero campo d’azione è l’analisi collettiva, una cosa che Freud non ha mai fatto».
• Prima di arrivare all’analisi collettiva, che è il successo del giorno, vogliamo soffermarci un attimo sul punto di partenza?
«Per me tutto cominciò al liceo, quando, vivendo in ambiente medico, feci la prima osservazione: le malattie psichiche distruggono più di quelle fisiche. Una gamba rotta o una broncopolmonite trovavano soluzione mentre i pazienti depressi venivano liquidati col manicomio. Decisi allora di fare medicina e specializzarmi in psichiatria. Dopo la laurea, la pratica presso l’ospedale psichiatrico di Venezia. Per un anno e mezzo mi attenni al ruolo e alle disposizioni; non dovevo far altro che girare la chiavetta e zac: elettroshock. Allora mi chiesi: ma cosa sto facendo? Sto alla catena di montaggio? Avvito le teste? Me ne andai e cominciò un periodo duro per me. Prima Verona, dove mi cacciarono perché ero “rosso”, poi approdai a Padova, dove un minimo di ricerca si faceva. E lì mi venne la prima ispirazione. Dissi: l’istinto di morte è l’istinto di morte, d’accordo, ma questi, i malati, non muovono un dito. Dov’è tutta questa aggressività? Un esempio? Reparto agitati: trenta ricoverati, due infermieri. Mai accaduto un incidente. Allora, quest’istinto di morte non è distruzione. Incominciai così a studiare questo istinto passando e andando sempre più a fondo nel rapporto con l’inconscio. Mi trasferii in Svizzera, dove ebbi modo di superare la sindrome del malato per vedere cosa ci fosse dietro. Nel ’64 feci la mia analisi personale, la svolta fondamentale».
• C’è un episodio cui puoi legare questo momento del passaggio dalla psichiatria alla psicoanalisi?
•[D·2r]• ~?!
«Sì, ed è connesso a un paziente il quale, un giorno, mi rimproverò di non averlo assistito in una determinata circostanza e di avergli, quindi, “fatto del male”. Ma se quel giorno, mi dissi, io ero in ospedale, come posso avergli fatto del male? Fu un’illuminazione: è l’assenza che fa del male. Cos’è l’assenza? È una pulsio[ne attiva; e quindi la] scoperta dell’annullamento».
• Qui spunta Lacan…
•[D·3r]• ~?!
«No. Lacan dice che è una mancanza. La mia, ripeto, è pulsione attiva di annullamento. La si può verificare nel “Non visto” e nel gioco infantile del “Bubù settete”, dove il bambino appare e sparisce. Di qui mille passaggi, verifiche e confronti. Una storia lunga, che comincia, però, qui: dalla scoperta dell’annullamento».
• Arrivando a questa scoperta e nel lavoro successivo, l’insegnamento di Freud l’ha tenuto presente?
«L’ho rifiutato e lo rifiuto totalmente».
• Anche tu, però, in questa ricerca, pratichi «l’arte del sospetto»?
«Ma nemmeno per idea. Il sospetto parte da una verità precostituita e accertata. Io mi metto in sospetto se temo che tu mi dia un pugno. La mia ricerca non ha condizionamenti di questo tipo».
• È importante, secondo te, che Freud sia nato?
«Io, sulla nascita delle persone, evito di intervenire. Giusto che sia nato, lo sbaglio è che si è messo a fare lo psicoanalista. Se avesse fatto il medico generico sarebbe stato molto meglio. Diciamo le cose come stanno: esiste una bibliografia enorme, opera di predecessori di Freud, che sta a dimostrare che Freud non ha scoperto niente. Se una certa società e una certa cultura lo idealizzano tanto ciò è dovuto al fatto che con Freud l’analisi non si fa e questa società ha paura che la gente faccia l’analisi, perché fare l’analisi sul serio significa vederci chiaro, rendersi conto dei “mucchi di sabbia” di tanta cultura, significa imparare a dire di no. E chi sa dire di no rimette tutto in discussione: affare scomodo. Freud, invece, è comodo, perché finge di fare l’analisi. Infatti, non ha metodo, si limita a codificare la non-trasformazione umana. La sua è un’analisi interminabile, perché parte dal punto di vista che non c’è niente da fare e allora ricade nella vecchia psicoterapia di sostegno. Roba dei tempi di Ippocrate. Non c’è trasformazione…».
• Invece, nella tua c’è, a quanto lasci capire. Ma prima di te?
•[D·7r]• ~?!
«C’è Marx. Ecco uno che aveva intuito la psicoanalisi, parlando di trasformazione. Mi riferisco al giovane Marx, quello dei “Manoscritti” e dell’“Ideolo[gia tedesca”]».
• Meno male che anche tu ha un padre, ma veniamo ai tempi nostri: quando ti sei deciso a rompere con la Società di Psicoanalisi Italiana?
•[D·8r]• ~!
«È storia risaputa. Comunque, fu nel ’68. Sentii che i tempi erano maturi per tirar fuori quel che avevo scoperto e già praticavo. Pubblicai il mio primo libro e fu l’innesco della reazione a catena che mi ha portato agli attuali seminari basati sull’analisi collettiva».
• Anche qui c’entra Marx?
«Eh, sì. Perché tutta quella gente raccolta intorno a me parla, racconta, domanda, ascolta e domanda ancora. E torna, puntualmente, senza che nessuno le abbia fissato un appuntamento né un programma d’analisi. Tutti insieme, senza pudori né resistenze. Indubbiamente, trovano quel che stavano cercando. Tutti insieme, collettivamente. Siamo dunque lontano dall’analisi individuale. Un po’ come la presa di coscienza nella fabbrica. Per me è la conferma di essere sulla via giusta. Io non uccido il paziente come fa l’analista dall’alto del suo ruolo e del suo diploma, nel chiuso dello studio. Io li affronto, lì, seduto in mezzo a loro che sono centinaia, pronti a rimbeccarmi se dico stupidaggini. Perché la gente conosce l’analisi più di quanto comunemente si creda».
• Qual è la differenza tra analisi individuale e analisi collettiva?
«All’analisi individuale si presenta, quasi sempre, un uomo che sta molto male: è confuso, annullante, depresso. In quel caso deve fare quasi tutto l’analista, cogliendo il problema e cercando di risolverlo, direi a dispetto dello stesso analizzando che vuol distruggere l’analista. Questo, in un certo senso, si verifica anche al seminario, ma lì la risposta è collettiva. A volte io non faccio che interpretare il sogno di uno per rispondere a quello di un altro. È la conferma che l’uomo è un essere sociale. Vedi che Marx torna sempre? Voglio dire che il problema della ragazza la cui madre le dà della puttana perché esce la sera è problema di migliaia di persone, non è il problema personale di quella singola ragazza con quella madre. Questo è il mio lavoro, in poche parole. E allora si capisce perché tutto ciò rappresenta la distruzione di Freud».
_____________________
ANNOTAZIONI E SPUNTI
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
COMMENTO — Pare abbastanza curioso che la maggior parte dei refusi della pagina, e soprattutto i più gravi, tali da rendere problematica la comprensione di alcuni passi, si concentrino proprio nell’articolo di Stinchelli, il quale riporta una sua intervista a Fagioli. In altri termini, sembrerebbero proprio le parole di Fagioli ad aver creato i maggiori problemi a chi ha curato la composizione della pagina.
NOTA: ai testi degli altri articoli presenti nella stessa pagina del quotidiano, tutti aventi per argomento Fagioli e l’Analisi collettiva, si può accedere da qui.
•[A·1]• «[…] tiene seminari bisettimanali […]»: a quell’epoca dovevano essere quello del martedì (la mattina, alle 11:00) e quello del giovedì (il pomeriggio, alle 18:00).
•[A·2]• Nel testo originario: «[…] l’“inconscio marecalmo” [sic!], la “fantasia di sparizione” e l’“istinto di annullamento” [sic!]», ma delle 3 espressioni, solo la “fantasia di sparizione” è corretta; “inconscio mare calmo” si scrive staccando “mare” e “calmo” (così almeno era scritto su ‹Istinto›), mentre “istinto di annullamento” non esiste, esiste “istinto di morte” (è un’espressione storica, usata da diversi autori e anche da Freud, che spesso la confonde con la “pulsione”: ‹Todestrieb›) oppure “pulsione di annullamento” che è una terminologia tipicamente fagioliana.
•[D·2r]• Nel testo originario della risposta: «È una pulsio- […] scoperta dell’annullamento [sic!]», una riga del testo è evidentemente scomparsa, sostituita dalla domanda successiva (qui rappresentata dai puntini) che ne ha preso il posto; possiamo completare la parte mancante ricomponendo i 2 tronconi rimasti: «È una pulsio[ne attiva; e quindi la] scoperta dell’annullamento»; suggerito completamento tra parentesi quadre (ma vedi anche annotazione al cpv. successivo).
•[D·3r]• Nel testo originario della risposta: «Una storia lunga, che comincia, però, qui: dalla scoperta dellannullamento [sic!]», un evidente refuso ha fatto sparire l’apostrofo in “dell’annullamento”; ripristinato. Ma ciò che pare sospetto è che, a parte questa mancanza, la riga “scoperta dell’annullamento” che chiude questo cpv. è esattamente la stessa che concludeva quello precedente (dopo la riga saltata e la domanda: “Qui spunta Lacan…”); allora forse l’errore nella resa del testo è più complesso e il cpv. precedente non si concludeva esattamente con quelle parole. E tuttavia doveva esserci “pulsione attiva di annullamento”, perché Fagioli afferma di starle ripetendo all’inizio di questo cpv.
•[D·7r]• Nel testo originario della risposta: «[…] Marx, quello dei “Manoscritti” e dell’“Ideolo- [sic!]», la riga finale del testo è evidentemente stata omessa, sostituita dalla domanda successiva che ne ha preso il posto; possiamo integrare la parte mancante completando almeno il titolo dell’opera: «Marx, quello dei “Manoscritti” e dell’“Ideolo[gia tedesca”]»; suggerito completamento tra parentesi quadre.
•[D·8r]• Nel testo originario della risposta: «E [sic!] storia risaputa. Comunque, fu nel 68 [sic!]», per un refuso, si è perso l’accento su “È”; corretto. E per un 2° refuso, si è perso l’apostrofo prima di “68”, che indica l’anno 1968; corretto anche questo.
_____
[] http://spogli.blogspot.it/2016/06/il-messaggero-9.html
[] http://www.associazioneamorepsiche.org/archiviostampa/?p=218
¯¯¯¯¯