Ecco la cronaca di una seduta
✩ (Arkbase)
di Luigi Vaccari
il Messaggero — 9/11/1977 (mercoledì 9 novembre 1977)
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Lei, sui 30, la voce concitata: «Senti Massimo, vorrei dire una cosa ai compagni. Giovedì scorso sono arrivata alle 5 e un quarto, c’era già la fila, ma io non mi ci sono messa, ho rifiutato quest’imposizione, sono entrata e mi sono seduta. Oggi sono arrivata alle 5 meno un quarto, e anche oggi c’era già la fila, e io mi sono opposta, la fila no… Sono stata violentata: ‘Tu non sai stare coi compagni”, mi hanno urlato. Sono stata violentata per tre quarti d’ora… Ero venuta serena, in questa settimana molte cose mi si erano chiarite, ora ho le idee di nuovo confuse… Perché succedono queste cose? … Queste cose non devono succedere, non possono succedere…».
Massimo, sorridente ma fermo: «Quando l’organizzazione la fanno i compagni non c’è più la sensazione di dominio».
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Lei, scossa da un tremito, gli occhi [pieni] di lacrime: «Allora vorrà dire che devo venire alle 3…».
Massimo: «È la stessa difficoltà di tutti…». Poi, dopo una pausa, con una smorfia di compiacimento: «…E propone la nascita di un terzo seminario…».
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Lei è una dei 150-200 protagonisti dell’incontro-confessione che si tiene il giovedì nell’Istituto di psichiatria dell’Università, al 47 di viale di Villa Massimo al Nomentano. E altrettanti ne intervengono a quello del martedì, che ha aperto un anno e mezzo fa la strada. Giovani, ma anche meno giovani. Ragazzi, ma anche tante ragazze. Studenti, forse di liceo forse universitari, ma anche gente che lavora. Massimo è Massimo Fagioli, uno psichiatra approdato dopo esperienze varie alla psicanalisi ufficiale e successivamente allontanatosene. I due seminari, a cui si può liberamente partecipare, testimoniano un insolito tentativo di analisi collettiva, la capacità liberatoria di raccontarsi in pubblico cercando il significato di sogni che sono spesso incubi lunghi e sofferti.
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L’appuntamento è in una sala al primo piano, di 40-45 metri quadrati. Il portone dell’Istituto viene aperto mezz’ora prima dell’inizio di questo straordinario transfert comune. Quando tutti aspettano da tempo, pazienti. In una fila molto ordinata e poco italiana. La corsa esplode sulla breve rampa di scale che porta al luogo della riunione. Per occupare le pochissime sedie che vi si trovano, e anche i braccioli. Alcuni si sistemano su sgabelli pieghevoli, portati da casa e dall’incerto equilibrio. Altri siedono in terra, come coloro che non riescono ad entrare e restano nello stretto e breve corridoio.
L’analisi occupa due ore: dalle 18 alle 20, e dalle 10 alle 12 il martedì. L’attesa è ingannata diversamente. Chi fuma, le ragazze soprattutto. Su un cartello, «Qui è vietato fumare», qualcuno ha aggiunto fra qui ed è un «non» a lapis, e fanno da posacenere anche lattine vuote di noccioline che passano di mano. Chi legge, faticando nei movimenti: il Manifesto, L’Espresso, Lotta continua. Chi parla con chi gli sta accanto, e il tono è sommesso. Pochi sono tirati nei tratti del volto. Pochissimi sembrano preoccupati, anche se qualcuno fissa il vuoto.
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Quando compare Massimo, molto puntuale, a fatica riesce a raggiungere la sua sedia dirimpetto alle porte della sala, spalle a una finestra che come le altre adesso viene chiusa. E c’è subito fumo. E caldo. Tanti, e tante, si sfilano i pullover. E si comincia, dopo il lamento-protesta di colei che aveva rifiutato la fila, con Adele. La quale non sa, dice, se viene per una curiosità intellettuale, lei è una giornalista, o per se stessa. Ad ogni modo, dopo aver partecipato quattro volte ha fatto un sogno.
«Posso raccontarlo?», domanda.
Massimo: «Se tu chiedi il permesso non vuoi avere capito niente».
Un giovane: «Io, invece, Massimo…».
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Adele: «Ma lo racconto o no?».
Tutti ridono.
Massimo: «Sarebbe una punizione troppo grossa… Avanti, avanti».
E Adele: «Stavo su un sentierino di montagna a San Brunello, in Calabria, con dei ragazzi che erano i miei figli e i loro amici…».
Quando ha concluso, Massimo le spiega che nel suo sogno ci sono un sacco di intuizioni ma anche di negazioni. E c’è la sua difficoltà di essere compagna. E non solo non ci sono i ruoli sociali ma neppure quelli familiari né quelli personali. E il rosso che a un tratto appare significa le donne che ritrovano le loro mestruazioni senza sentirsi castrate.
▥ — ⌧ — •[A·17]• ~?
Una ragazza sui 25, orecchini ad anello, argentina [sic!] bianca e [sic!] sopra una maglietta bordò col collo aperto, ricorda le difficoltà per arrivare fino al gruppo, poi, dopo l’ultimo incontro, una serie di sogni: «Era morta mia madre; io dovevo verificare questa morte, andavo al cimitero ma volevo che mi accompagnassero, e mi accompagnava un ragazzo». La scena cambia: «Io abbraccio il ragazzo, ma compare mio padre e ci divide». Secondo sogno: lei si prepara a fare l’amore, ma le vengono le mestruazioni. Terzo sogno: «Io incontro Massimo, mi dice che mi vuole parlare, anch’io gli dico che devo parlargli ma posso perdere il posto in farmacia».
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Massimo interpreta così: la separazione dalla madre è possibile solo se si è in compagnia, per fare un’analisi a fondo occorre il rapporto collettivo. Poi il compito del padre: ma il ragazzo lei se lo sceglie da sé… Terza proposizione: per venire al seminario c’è il rischio del licenziamento. La realizzazione analitica, d’altra parte, non è qualcosa che può restare nel chiuso dello studio privato. Ma deve uscire fuori. E allora diventa anche un fatto politico…
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Maglione grigio a giro collo, occhiali da vista chiari, folta barba, borsello, un pacchetto di MS e uno di cerini sulle ginocchia; un giovanotto racconta che se ne stava seduto fuori, sulle scale, e non poteva andare al seminario perché gli mancava l’apparecchio ortopedico, non poteva salire. Arrivavano i compagni, però, e lo portavano su loro. «Finito il seminario se ne vanno, mi lasciano lì, e io dico “che stronzi” … Mi metto carponi, sì, ce la faccio. Mi vergogno un pochino ma riesco a farcela…».
E Massimo: il tutore ortopedico… Ne può fare a meno nel momento in cui si è insieme… Ma che cos’è il tutore ortopedico? È la passività di fronte alla mammina, al papino, alla zietta, fino al governo Andreotti. Che scompare purché ci sia un lavoro collettivo.
Gli interventi si inseguono. Uno dietro l’altro. Senza una sosta, una riflessione. Alle risposte di Massimo non c’è replica.
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Un’altra ragazza, di cui arriva solo la voce: «Io prima andavo al martedì. Vengo al giovedì da due settimane e mi sono sentita a disagio, mi sembrava di aver abbandonato un buon lavoro… Ho sognato che stavo al seminario, ma non era in una stanza, era in strada, e c’erano alcuni che camminavano, altri che sonnecchiavano. Vedo Silvio che sonnecchia, gli do un bacio, gli dico “su dai”, bacio un altro ragazzo, poi ne sveglio un terzo, sempre con un bacio, facciamo l’amore ed è un rapporto molto dolce, molto tenero…».
Massimo chiarisce che il modo per non farsi abbandonare è proprio il terzo rapporto, cioè il terzo seminario, cioè aumentare il lavoro, anche in senso qualitativo.
Un altro giovanotto sui 20 dice: «Ho sognato che stavamo aspettando il seminario su una distesa erbosa, arriva un gruppo di persone, ci sono anche i miei genitori i quali vengono con noi. Ma vogliono sapere, soprattutto mia madre assume un ruolo molto interlocutrice…».
E Massimo risponde: se si fa il terzo seminario ci si può occupare anche dei genitori…
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Si va avanti su questa chiave di lettura. Su questa relazione molto stretta fra sogno e seminario. Seminario come riferimento costante, fino all’ossessione o all’incubo. Seminario come abbandono ultimo e disperato. Per fuggire una solitudine assoluta e tragica. E Massimo che parla ora della paura ora del bisogno di una sua ulteriore dilatazione, dopo che c’è già stato lo sdoppiamento. «Qui c’è una precisa richiesta: non fare il terzo seminario, sennò perdo questa possibilità di analisi che ho raggiunta», replica ad una ragazza dalla voce contratta, lo sguardo basso. Che aveva ricordato con queste parole il suo sogno: «C’era come una gara. Resistere in una situazione dove l’aria era poca. Poi mi accorgo che la gente ci stava bene e dico “andiamo più in basso”. Ci vado con una amica e ci troviamo come in un cunicolo, come nella metropolitana a Londra. Ma io avevo la sensazione di salire, incontro un uomo nero, usciamo fuori ed è Roma…».
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Il rapporto col seminario vale anche per una lei sui 28, che la notte precedente ha ripercorso due storie sentimentali, «e con il primo ragazzo parlavo pacatamente, con il secondo soffrendo molto». Per un lui sui 25, che era su una spiaggia con un amico, incontrava una suora con un cesto, nel cesto c’erano tre tartarughe, le tartarughe s’infilavano nel mare, un lungo tunnel… Per un’altra lei sui 27, che perdeva un treno per una questione di minuti, ne perdeva un secondo, però riusciva ad arrivare dove doveva arrivare.
Se n’è andata un’ora. Superando braccia, gambe, teste, a mo’ di slalom, il cronista guadagna con molto impegno e molto sudore il corridoio. Un ragazzotto, che non s’è ancora raccontato, chiede: «Quando esce l’articolo sul giornale?». Risposta: La prossima settimana. «Speriamo di non leggere stronzate». Ne hanno dette? E il ragazzotto sorride, con un sorriso di meraviglia e di stupore, come per dire: «Ma vuoi scherzare?».
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA: ai testi degli altri articoli presenti nella stessa pagina del quotidiano, tutti aventi per argomento Fagioli e l’Analisi collettiva, si può accedere da qui.
•[A·3]• Nel testo originale: «Lei, scossa da un tremito, gli occhi [sic!] di lacrime […]», per un refuso è probabilmente stata omessa la parola “pieni” (o altra equivalente), che completerebbe di norma l’espressione; completamento suggerito tra parentesi quadre.
•[A·17]• Nel testo originale: «[…] argentina [sic!] bianca e [sic!] sopra una maglietta bordò col collo aperto […]», “argentina” era detta una particolare foggia di maglia o maglione piuttosto diffusa all'epoca; tuttavia forse la congiunzione “e” che segue è spuria, perché difficilmente una maglietta può essere indossata sopra una maglia o un maglione; lasciamo il testo marcato con [sic!], essendo comunque la descrizione irrilevante per il tema trattato.
•IBID.• Nel testo originale: «[…] ma posso perdere il posto in farmacia”», per un refuso manca il punto finale (prima dell’accapo che separa il cpv. dal successivo); inserito.
•[A·18]• «Poi il compito del padre: ma il ragazzo lei se lo sceglie da sé…»: la frase sembra un po’ criptica, anche considerando che il padre alla fine del 1° sogno la divideva dal ragazzo; potrebbe mancare del testo, ma è difficile ricostruire i nessi.
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[] http://www.associazioneamorepsiche.org/archiviostampa/?p=218
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