Psiche e Fagioli
✩ (Arkbase)
Psicanalisi e politica
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Si espande il fenomeno dell’«analisi collettiva», da noi già segnalato fin dal novembre scorso. Ma i suoi fondamenti teorici sono molto fragili. E il senso politico di questa moda è abbastanza equivoco. Vediamo perché
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Analisi collettiva con Massimo Fagioli – Foto di Michelangelo Giuliani
di Sergio De Risio
il Messaggero — 29/03/1978 (mercoledì 29 marzo 1978)
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Il ‹Corriere della Sera› del 12 marzo ha ripreso, con un articolo apologetico di Giuliano Zincone; il discorso su di uno psicoanalista cui già ‹Il Messaggero› aveva, nel novembre scorso, dedicato una pagina intera di interventi impostata criticamente. Massimo Fagioli, lo psicoanalista di cui si tratta, appare nell’ultima intervista di Zincone, se possibile, ancora più violento, in ogni caso ancora più deciso e preciso, nel suo attacco radicale al pensiero di Sigmund Freud. Certamente eravamo già abituati al puntuale ricorrere nel tempo, con l’insistenza delle cose sciocche, di quelle mescolanze di discorsi oggi dette pasticci fraudo-marxisti [sic!]: da Marcuse a Guattari, per menzionare solo i più recenti. Tuttavia Massimo Fagioli presenta caratteri di tale originalità nelle dichiarazioni rilasciate ai giornali (dal presentare Freud come un imbecille, al presentare Marx come il legittimo inventore della psicoanalisi) che ci ha solleticato il desiderio di andare a rivedere i temi della famosa trilogia che sostanzia la sua produzione: ‹Istinto di morte e conoscenza›, ‹La marionetta e il burattino›, ‹Psicoanalisi della nascita e castrazione umana›.
Quali profonde innovazioni vi sono contenute, quali visioni inedite dell’uomo e dell’inconscio, tali da rimettere totalmente in questione metodologia e teoria psicoanalitiche, non solo ormai secondo lui banalmente borghesi, ma addirittura sadico-assassine? Deve essere senz’altro necessario leggere e meditare lungamente ed essere pronti ad abbracciare, se risulta ineluttabile, la «psicocosa» detta «collettiva» o «d’assemblea», giacché ciascuno avrebbe il dovere di sottrarsi, se mai vi fosse per qualunque ragione incappato, al compito di trucidazione della mente che l’esercizio della psicoanalisi rappresenta per Massimo Fagioli. Deve essere senz’altro necessario prepararsi a spazzar via senza indugio il cumulo di imbecillità formulato da Freud e accogliere i suggerimenti di Fagioli, se ne dovessero conseguire una pratica di cura non dico più efficace ma almeno meno disastrosa, e un sistema teorico più ricco, più chiaro, più coerente.
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Macché. Va subito detto che Massimo Fagioli non rappresenta nient’altro, dal punto di vista per così dire teorico, che un’aberrante mistura di teosofiche ingenuità lanciate lì senza pensarci su due volte, tra le pagine come tra le persone, in uno stile che risulta da un uso degradante della terminologia freudiana spinta fino ai confini dell’insignificanza più totale. Che dice dunque Fagioli? Che Freud è un imbecille perché non avrebbe capito che la pulsione di morte è «pulsione attiva di annullamento»; che l’imbecillità si raddoppia perché Freud non ha mai usato il termine fagioliano di «Fantasia di sparizione»; che il ruolo del concetto di castrazione nella teoria è troppo scomodo e che sarebbe meglio rimpiazzarlo col concetto di «Nascita»; che non esiste scissione nell’essere dell’uomo; che il «Super-Io» tanto varrebbe fosse chiamato per esempio «Andreotti» (rapito anche quello, chi sa, scomparirebbe pure la nevrosi); che è importante la «separazione» da mamma e papà, e se la cosa dovesse comportare un poco di dolore, sarebbe allora opportuno sbrigarsi a diventare collettivista. La separazione infatti (egli crede di scoprire) è la dinamica fondamentale di quattro momenti: la nascita, lo svezzamento; la visione dell’essere umano diverso, la pubertà.
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Che cosa ne hanno fatto, di questa separazione, Freud, Klein, Winnicott, Bion, Lacan? Non ne hanno mai parlato? Ma sì, qualcuno ne ha parlato, però giocava a fare il Re, l’Imperatore, forse l’Imperialista, insomma tutti si sono schierati come un esercito compatto, crudele, cieco e perfidamente mirante a trucidare ogni possibilità di nascere e di crescere: a metà strada tra la strage di Erode e l’uso del preservativo.
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Solo lui, Fagioli, promuove la nascita: egli la promuove nel «Collettivo». Questo termine va dunque approfondito perché rivela, nell’uso che Fagioli ne fa per la pratica e per la teoria, il senso esatto della sua operazione. Il Collettivo è per Fagioli lo strumento per attaccare la «Scientificità», la «Teoresi», che, come in questo caso giustamente egli intravede, costituiscono la forza della psicoanalisi stessa. Nella trentacinquesima delle lezioni introduttive allo studio di tale disciplina Freud scriveva: «Il pensiero scientifico è ancora troppo giovane tra gli uomini, non ha potuto ancora risolvere troppi dei grandi problemi. Una ‹Weltanschauung› costruita sulla scienza, oltre che accentuare il mondo esterno reale, ha essenzialmente tratti negativi, come il richiamo alla verità, il rifiuto delle illusioni. Chi tra i nostri simili è malcontento di questo stato di cose, chi chiede di più per potersi momentaneamente consolare, se lo procuri dove lo trova. Noi non ce ne avremo a male, non lo possiamo aiutare, ma non possiamo nemmeno, in onor suo, pensare diversamente».
È chiaro che Fagioli è uno di questi malcontenti, ed è un grave errore che ciò di cui ha bisogno se lo vada a cercare in maniera tanto maldestra; affogando cioè la psicoanalisi nella modalità sciatta della ideologizzazione. Che cosa tanto affanno gli consente di trovare? «La nostra dizione, realtà non materiale — scrive Fagioli — si riferisce e intende proporre un pensare e un discorso sulla realtà dell’uomo che ‹si costituisce come totalità›». «La realtà non materiale umana — scrive altrove — una volta che sia vista e pensata come verità umana di essere per essere in rapporto con l’altro e realizzata per essere stati in rapporto con l’altro, si costituisce come ‹essere dell’uomo totale›, senza scissione di anima e di corpo, di ragione e sessualità». In sostanza dunque ciò che trova è schematicamente enunciabile così: «‹La prassi di essere insieme› restituisce l’uomo ad una ‹Totalità›».
Credo che non valga la pena di scomodare teologia o metafisica, per qualificare in qualche modo la mescolanza di osservazioni che costituiscono il corpus fagioliano: teologia e metafisica, sotto i colpi del pensare di Nietzsche o di Heidegger, rivelano una capacità speculativa che non può comunque essere ridotta a qualche accenno di farneticazione.
Per poter costituire questa credenza immaginaria nella Totalità, Fagioli abbandona la scienza, quella di Freud, «che non considera tutto, è incompleta, non ha la pretesa di essere chiusa in sé e di formare un sistema», e si lascia andare a qualche slogan alla moda. Crede che basti magari evocare il fatto che la scienza non è neutrale e pretende che questa magica formula diventi un buon lasciapassare per ogni tipo di sciocchezza. Qui Fagioli è davvero l’anti-Freud. Il progetto freudiano infatti mina, pur nella sua gigantesca compattezza, metodicamente ogni tentativo di «totalizzazione». La struttura della metodologia freudiana si presenta come continuamente costruibile, anticipando di fatto alcune delle formalizzazioni più importanti della moderna epistemologia circa lo statuto della scienza. Se quest’ultima, e con essa la psicoanalisi, ha da tempo abbandonato le ingenue fantasie positiviste, non è certo per cadere nelle subdole reti di un nuovo ‹Tutto› inesistente. Si capisce bene, a questo punto, perché Fagioli intende liquidare in psicoanalisi i concetti di castrazione, di limite, di mancanza, e ammorbidire in modo completamente narcisistico il difficile problema di ciò che Freud designava come «narcisismo primario».
Vale ora la pena di chiedersi in che rapporto stanno le idee così tracciate di Fagioli con la pratica della cosiddetta «psicoanalisi di assemblea». Cosa vi vanno a ‹desiderare› i giovani della Nuova Sinistra, cosa lo stesso Fagioli? «Cercano tutto» si potrebbe dire parafrasando un altro slogan di ormai decennale memoria. Cercano tutto, senza fare niente, se non qualche esercizio spirituale. Incapaci di risolvere vere e proprie frustrazioni nate da un certo impegno nel politico, si ritrovano insieme a lamentare. Sono seicento? Data la natura delle cose direi che sono ancora pochi: è assai probabile che diventino presto di più. Quanti sono oggi coloro che cercano, per riprendere Freud, di potersi momentaneamente consolare?
•[A·10]•
Un’ultima parola sul tipo di legame che probabilmente tiene uniti assemblearmente seminarista e seminarizzati. In ‹Psicologia delle masse e analisi dell’Io›, fin dal 1921 veniva messo in primo piano il ruolo specifico del ‹capo› nel contesto di qualsivoglia formazione collettiva. Il capo va ad occupare, nel soggetto, il posto dell’Ideale. Come è noto, innamoramento e ipnosi sono le condizioni che Freud sinotticamente o in parallelo pensava di evocare, ed è già di per sé più che significativo. Più tardi Bion mostrava come questo posto di capo o leader, qualora fossero sufficientemente sviluppati un vertice ed un’attenzione analitica, si rivelasse prezioso osservatorio delle tensioni interne alla formazione collettiva e delle tensioni tra la formazione collettiva e il leader stesso. Si poteva cioè sviluppare, con il concorso collettivo, una funzione analitica nel gruppo. Cosa accade dove vertice ed attenzione analitica sono così palesemente soppiantati? Personalmente propendiamo per l’ultima ipotesi che Guarini indicava nell’intervento da lui dedicato all’argomento, quella più derisoria: Il Politico che rispunta, travestito da Psicomante, proprio nel luogo in cui il gregge, forse senza saperlo, progetta di abolirlo!
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — L’articolo non è opera di un giornalista; De Risio (1945-2004) è stato titolare della cattedra di Clinica psichiatrica all’Università Cattolica di Roma (che era stata di padre Agostino Gemelli) e membro associato della Società Psicoanalitica Italiana; è stato inoltre direttore della Rivista “Quaderni di psicoterapia di gruppo” e della “Rivista Italiana di Gruppoanalisi”; per ulteriori dettagli sulla biografia e sulle pubblicazioni si veda la pagina a lui dedicata dal suo comune natale (http://www.vastospa.it/html/comuni_limitrofi/cmm_scerni_pe_de_risio.htm). Si tratta, in definitiva, di un freudiano convinto e perseverante.
NOTA: il testo dell’articolo di Guarini menzionato da De Risio (insieme a quelli di Vaccari e di Stinchelli che vi erano impaginati assieme) è reperibile qui. Si noti come anche la foto che correda quest’articolo sia molto simile a quella del 9/11/1977, e il fotografo è esattamente lo stesso, quindi potrebbe esser stata scattata nella stessa occasione.
•[A·1]• Nel testo originario, «[…] mescolanze di discorsi oggi dette pasticci fraudo-marxisti [sic!]: da Marcuse a Guattari […]», è assai probabilmente un refuso editoriale, sarebbe dovuto essere “freudo-marxisti” (con la ‘e’ di Freud); marcato con [sic!].
•[A·3]• Nel testo originario, «[…] quattro momenti: La [sic!] nascita, lo svezzamento […]», l’iniziale maiuscola dopo i due-punti è un evidente refuso, dev’essere “la”; corretto.
•[A·4]• «[…] a metà strada tra la strage di Erode e l’uso del preservativo»: a una prima lettura potrebbe sembrare una battuta spiritosa, ma se ci ricordiamo che De Risio era titolare di una cattedra all’Università Cattolica di Roma (la stessa cattedra che era stata di padre Agostino Gemelli), allora ci viene il sospetto che non la intendesse affatto come una battuta.
•[A·5]• Nel testo originario, «Solo lui, Fagioli, promuove la nascita: Egli [sic!] la promuove […]», non è ben chiaro se la maiuscola iniziale di “Egli” abbia un senso particolare (forse ironico?), ma propendiamo a credere si tratti di un semplice refuso (oppure sono un refuso i due-punti, e magari era un punto semplice); corretto in “egli” (anche per analogia col caso precedente).
•IBID.• Nel testo originario, «Una ‹Weltanschaung› [sic!] costruita sulla scienza […]», l’ortografia corretta è “Weltanschauung” (con la doppia ‘u’, la prima appartiene alla radice ‹schau›, l’altra alla desinenza ‹-ung›; corretto.
•[A·10]• Nel testo originario, «[…] l’ultima ipotesi […], quella più derisoria: Il [sic!] Politico che rispunta […]», a questo punto, però, viene il dubbio che l’iniziale maiuscola dopo i due-punti sia un vezzo stilistico di De Risio, una sorta di marchio personale (consapevole o meno che ne sia l’autore); testo non modificato.
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[] http://www.associazioneamorepsiche.org/archiviostampa/?p=231
[] http://www.associazioneamorepsiche.org/wp-content/uploads/1978/03/78-03-29-MES.pdf
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