Richard Sennett: “Ciò che è gratuito comporta sempre una forma di dominio”
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Intervista
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La vita da intellettuale di questo sociologo, violoncellista e scrittore, trascorre tra Harvard, il MIT e la London School of Economics. Nella sua vita privata si aggiunge New York, a Washington Square, da dove domina la Manhattan bohemienne. A 75 anni, questo antropologo della vita quotidiana ripercorre la sua vita, da Hannah Arendt a Bernie Sanders; critica Obama e Trump e disseziona una società nella quale le nuove tecnologie schiavizzano più che mai le persone
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Obama parlava con una meravigliosa eloquenza però la disuguaglianza continuava ad aumentare. Sarebbe stato un grande giudice della Corte Suprema, ma non un grande presidente
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Cerco di toglier dalla testa dei giovani studenti che la vita intellettuale dipenda dalle università
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Foto: Erik Tanner
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intervista di Anatxu Zabalbeascoa
El País — 18/08/2018 (sabato 18 agosto 2018)
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Sono molte le questioni che definiscono la nostra società che egli ha visto prima di chiunque altro. Il sociologo Richard Sennett (Chicago, 1943) è autore di vari saggi in cui mette in guardia contro i pericoli del lavoro flessibile che derivano dall’essere esigenti con se stessi e dalla mancanza di radicamento. Lontano dalle statistiche, utilizza la sociologia come letteratura. In una dozzina di libri – ‹Costruire e abitare. Etica per la città› è il più recente, di prossima pubblicazione per Anagrama – Sennett svela che tipo di società siamo e come siamo giunti fin qui.
Nel suo luminoso appartamento a Washington Square, Sennett annuncia che non andrà mai in pensione. Cinque anni fa ha avuto un infarto. Ha perso peso, ma non ha smesso di bere caffè. Né di scrivere. Né di suonare il pianoforte. Passa la primavera a New York, ora farà lezione all’Istituto di Tecnologia del Massachussets (MIT) e a Harvard. In inverno insegna presso la London School of Economics, “dove ho incontrato gli studenti più convolti in questioni pubbliche, mentre gli americani propendono per la parte accademica”.
Di tutte le sue occupazioni – è stato anche violoncellista professionista –, scrivere è diventata la sua routine. “Sono una persona abitudinaria. Scrivo la mattina e svolgo la mia vita nel mondo dopo pranzo”.
• Per quanto tempo si è guadagnato da vivere suonando il violoncello?
Cinque anni. Non ne avevo compiuti 20 quando iniziai con un gruppo che suonava musica barocca da camera in ambienti non borghesi: chiese, fabbriche – un luogo orrendo per suonare – o in associazioni di minatori.
• Non suona più in pubblico?
Ho un gruppo in cui si può entrare solo se hai fallito come musicista. Suoniamo per noi stessi: un direttore di giornale, un preside di facoltà all’università… Se non avessi avuto la lesione alla mano, oggi sarei direttore d’orchestra, come Toscanini.
• Che cosa indusse sua madre ad iscriverla alla famosa Juilliard School di New York?
Non lo ha fatto. La detestava! L’idea che io diventassi musicista la terrorizzava. Voleva che diventassi medico o avvocato, però a 16 anni me ne venni a vivere da solo a New York. Nelle famiglie ebree europee suonare uno strumento fa parte della tua educazione. Però la possibilità che diventi un’ossessione è una deviazione per quel tipo di educazione. Ed io ero ossessionato. Chiunque si dedichi a suonare lo è.
• I suoi nonni arrivarono dall’Europa. Entrambi erano ebrei, uno tedesco e l’altro russo, e si sposarono con donne cristiane.
Quella “atrocità sociale” di sposarsi fuori della fede ha ampliato il mio mondo.
• Nei suoi saggi ha anticipato molti dei problemi della società attuale: la frammentazione delle esperienze, i pericoli della flessibilità che avrebbe dovuto migliorare la vita ed ha finito col portare il lavoro in ogni minuto e ogni angolo della nostra vita privata…
Vedo semplicemente ciò che succede. Molte volte la gente vede più con l’immaginazione che con gli occhi.
• Cosa è accaduto perché ciò che intendevamo come diritti oggi sia considerato come privilegi?
Il capitalismo moderno funziona colonizzando l’immaginazione di ciò che la gente considera possibile. Marx si era già reso conto che il capitalismo ha più a che fare con la appropriazione della conoscenza che con la appropriazione del lavoro. Facebook è la penultima appropriazione dell’immaginazione: ciò che consideravamo utile si rivela ora come una maniera di imporsi nella coscienza della gente prima che possiamo reagire. Le istituzioni che si presentavano come liberatrici si trasformano in istituzioni di controllo. In nome della libertà, Google e Facebook ci hanno condotto nella direzione del controllo assoluto.
• Come riconoscere il pericolo nelle nuove tecnologie senza diventare un paranoico sospettoso di tutto?
Bisogna indagare su ciò che si presenta come reale. È ciò che facciamo noi scrittori ed artisti. Io non sospetto. Sospettare implica che ci sia qualcosa di occulto ed io non credo che Facebook abbia nulla di occulto. Semplicemente non vogliamo vedere. Non vogliamo affrontare il fatto che ciò che è gratuito comporta sempre una forma di dominio.
• In tempi di reti sociali, come preservare l’intimità?
Ciò che è accaduto con Cambridge Analytica è un delitto: qualcuno ha rubato e venduto informazioni private. Non c’è nessun mistero. È un traffico illegale che hanno camuffato con chiacchiere sulla protezione dei dati. Chi ha ricevuto le informazioni ha pagato per averle. Ma il trucco è portare una discussione che non dovrebbe esistere a livello dei mezzi di informazione. I delitti devono essere puniti.
• I suoi saggi si leggono in maniera diversa dopo il fallimento di Lehman Brothers?
A seguito di quel collasso, le vendite del mio libro ‹La cultura del nuovo capitalismo› andarono alle stelle. Fino ad allora le critiche all’ordine economico erano considerate nostalgiche. Molte delle cose che stanno accadendo sono talmente incredibili che tendiamo a non credervi, sebbene le abbiamo davanti agli occhi.
• Lei non aveva previsto Trump. Né la Brexit.
Sono rimasti al di là delle mie possibilità. Sebbene una intuizione io la abbia avuta. Il problema di Obama è che parlava con una meravigliosa eloquenza però la disuguaglianza continuava ad aumentare. Non è riuscito a controllarla. Ha sostenuto la sanità pubblica, ma il resto è rimasto a parole. E questo è molto pericoloso. Sarebbe stato un grande giudice della Corte Suprema, non ha agito come un grande presidente.
• In che modo possono agire oggi i politici per difendere i diritti dei cittadini di fronte alle pressioni dei poteri economici?
La storia lo spiega. 100 anni fa Theodore Roosevelt decise che lo stato doveva rompere i monopoli. Era un conservatore. Però era il presidente di tutti gli americani. Il capitalismo ha la tendenza a passare con grande facilità dal mercato al monopolio. E qui, con la soppressione della concorrenza, iniziano i grandi problemi, la grande mancanza di protezioni. Con i monopoli, il capitalismo passa dall’essere il sistema della concorrenza a quello del dominio. Aumentare il divario salariale tra i ricchi e i poveri così come sta succedendo ora è la via verso tutti i populismi. Questo è stato Trump. Nel Regno Unito abbiamo avuto l’equivalente di Obama in Tony Blair. Peggio di Obama. Obama è un uomo di totale integrità personale. Invece Blair è solo un politico.
• Perché lo Stato sociale sembra essere sostenibile solo nei paesi nordici?
Sono contrario a quest’idea. Non è necessario essere ricchi perché questo sistema prosperi e si mantenga. In Colombia esiste con risorse molto inferiori. In Botswana c’è un modello giusto, sebbene l’equità quando hai poco significhi poco. Bismarck costruì lo Stato sociale in Germania con cattive intenzioni: voleva evitare che i lavoratori si ribellassero. Con lo Stato sociale la gente diventa conservatrice. La distruzione di quelle politiche che sta accadendo in Spagna è una tragedia. Lo sa che i miei genitori combatterono nella guerra civile spagnola?
• Ho letto che poiché era figlio di “brigadistas” le hanno offerto la nazionalità spagnola.
Magari. Scriva questo: Magari. La accetterei subito. Sono americano e britannico. Ma mi piacerebbe anche essere spagnolo. Lo scriva.
Si alza per raccontarlo a sua moglie, la sociologa Saskia Sassen, che lavora nella stanza accanto. “Lo sai cosa chiederanno i nostri amici spagnoli? Spagnola o catalana? Dobbiamo stare attenti”, risponde lei.
• È cresciuto in un quartiere povero di Chicago, Cabrini Green.
Mia madre era lavoratrice sociale. Lavorò per il partito comunista e fu perseguitata da McCarthy finché, come quasi tutti i comunisti americani, si rese conto in cosa si era trasformato il comunismo sovietico e smise di essere comunista. Dedicò quasi un decennio a ideare la legislazione per un sistema sanitario pubblico pioneristico. Ma lei e mio padre erano i tipici comunisti borghesi.
• Suo padre lo ha conosciuto?
No. E questo è parte del mio dramma personale. Ho conosciuto suo fratello maggiore, mio zio Bill, che combatté anche lui in Spagna con i repubblicani.
• Ha mai saputo perché se ne andò suo padre?
Sono certo che fu per un’altra donna. Mia madre non mi diede nessuna spiegazione. Però, dato che me lo chiede, il momento di maggior tensione con mia madre non fu per quel motivo. Fu per la mia decisione di diventare violoncellista professionista. Aveva paura di qualunque cosa si allontanasse da quella sicurezza. E vedeva la musica come una vita da bohémien.
• Però lei scelse quella vita.
Passai cinque anni di vita da bohémien a New York. Poi tornai all’ordine. Fui reclutato per andare alla guerra in Vietnam e decisi di evitarlo rientrando a Chicago per tornare all’università. Poi, a Harvard, mi operarono perché il tunnel carpale nella mano di molti musicisti e di alcuni atleti va talmente in tensione che i muscoli si avvolgono gli uni sugli altri. Negli ultimi 40 anni, ho dovuto trovare modi di compensare la debolezza di alcune dita quando suono il violoncello, Ciò mi ha allontanato dalla musica da professionista.
• Ne ‹L’uomo flessibile› descrive l’idea falsa secondo cui la flessibilità lavorativa migliora la vita. Che tipo di carattere produrranno Uber o Deliveroo?
Vite senza colonna vertebrale. Un carattere le cui esperienze non costruiscono un tutto coerente. Qualcosa di molto circoscritto al nostro tempo e di preoccupante perché noi umani abbiamo bisogno di una nostra propria storia, una colonna vertebrale.
• Come vede il futuro dei suoi studenti?
Cerco di toglier loro dalla testa che la vita intellettuale dipenda dalle università. In qualunque professione uno può e deve avere una vita intellettuale attiva. È fondamentale che ogni persona abbia coscienza della propria capacità intellettuale e della propria necessità di contribuire al suo sviluppo. Anche se non fa una carriera universitaria.
• Lei non sembra un teorico. Come sociologo si serve del lavoro sul campo, non delle statistiche. Parla delle persone con nome e cognome.
Mi sono sempre sentito radicato nella antropologia della vita quotidiana. Ciò era sospetto per la Scuola di Francoforte degli anni Trenta, eccetto che per Benjamin, che faceva uso delle proprie esperienze per cercare di comprendere il mondo. Per questo patì il disprezzo della Scuola di Francoforte. L’unica persona che lo protesse fu Hannah Arendt.
• Lei è considerato discepolo di Arendt. Cosa ricorda di lei?
La conobbi nel 1959. Il mio gruppo suonava i quartetti di Bartók all’Università di Chicago e alla fine una donna piccolina salì sul palco a congratularsi con noi. Disse che aveva conosciuto Bartók. Quando tornai a Chicago, seguii il suo corso di estetica, e odiai l’estetica. Credo di averla delusa, e che lei abbia significato per me molto più di quanto volessi ammettere.
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È stata una pietra di paragone intellettuale nella mia traiettoria. Però le mostrai una bozza del mio libro ‹Il declino dell’uomo pubblico› e non le piacque. Fu quel tipo di rapporto… Lei aveva rapporti migliori con gente filosoficamente più sofisticata di me. Per questo ho paura che si sopravvaluti questo rapporto. Mi sarebbe piaciuto essere suo allievo, ma non credo di esserlo stato. Credo che alla gente risulti difficile capire che qualcuno possa avere una profonda influenza su di te senza esercitare un ruolo possessivo. Provai una grande tristezza per lei quando pubblicò ‹Eichmann a Gerusalemme› e diventò una paria per la maggior parte della comunità ebraica che era sfuggita ai nazisti.
• Lei ha scritto che i maestri offrono delle lezioni e i grandi maestri dei dubbi. Alla fine ha messo in dubbio Arendt.
Quello che mi colpiva di lei è che soffriva di una certa sordità culturale. Era contraria all’imposizione di certe forme di integrazione razziale in America. Scrisse un articolo molto oscuro su questo argomento, Non ignorava che i neri avevano bisogno di forzare in questa direzione. Però si fermava all’analisi della proposta astratta. Bisogna imporre che i neri vivano coi bianchi? Theodor Adorno disse che detestava il jazz perché era una musica primitiva. Allo stesso modo, per me quella generazione di filosofi aveva un problema: la sordità verso il presente. Lo abbiamo visto con la generazione dei nostri genitori: loro faticavano a capire che non ci eravamo arresi cadendo nelle braccia del partito comunista. Nella loro equazione, essere anticomunista equivaleva ad essere nazista, o qualcosa del genere.
• Dove si colloca oggi politicamente?
Ho attraversato un periodo da convinto conservatore. Sono stato liberale. Ma ora sono di nuovo a sinistra. Sono un socialista di Bernie Sanders.
• Perché la sinistra non ha più contatto con la volontà di cambiamento della gente?
È questo che mi intristisce tanto a proposito della sinistra spagnola. Gli interessi dei partiti di sinistra – delle destre neanche ne parliamo – sono passati ad essere più importanti degli interessi della popolazione. E così non si può andare avanti.
• Cosa accadrà dopo Trump?
È evidentemente un criminale. La questione è se sarà considerato responsabile dei suoi delitti o no. Il mondo è pieno di criminali in libertà. E può darsi che egli si unisca a questa schiera. L’unica cosa che mi consola è che Trump è un giudice talmente mediocre degli altri che ciò lo porta a commettere grandi errori. Quando uno arriva ad essere così egocentrico, smette di vedere il resto. Però… al momento è l’uomo più potente al mondo. Anche i suoi votanti sanno che è un delinquente.
• E perché lo sostengono?
È un enigma. Ma non è un fenomeno unicamente americano. Abbiamo già vissuto questo con Berlusconi. La gente sapeva com’era e, anche così, lo volevano per mostrare la loro rabbia, per dar fastidio. Trump è l’espressione della politica del malcontento. In questo paese abbiamo già lasciato alle spalle l’idea di cacciarlo. È già stato cacciato. Ciò che ancora non sappiamo è se pagherà o no per questo. Berlusconi è stato capace di devastare il sistema giudiziario italiano, e forse Trump riuscirà a fare lo stesso qui.
• Oggi la creatività è cruciale in tutti i lavori?
Sì. In sociologia, creativo è cercare una propria voce. Ma uno ce l’ha solo quando parla con qualcuno. Non si ha una propria voce per parlare da soli.
(traduzione: Iris Carpitella)
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Il testo originale (in spagnolo) dell’intervista è disponibile sul sito di “El País” (https://elpais.com/elpais/2018/08/09/eps/1533824675_957329.html). L’articolo viene ripreso e pubblicato in data 1/9/2018 da “Repubblica” (la traduzione in italiano è di Fabio Galimberti), ma solo parzialmente – escludendo in particolare le domande più personali e quelle di argomento familiare – col titolo ‹La resistenza di Richard Sennett› (qui). Si noti che anche il testo evidenziato è completamente diverso da quello spagnolo. •
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[] https://elpais.com/elpais/2018/08/09/eps/1533824675_957329.html
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