1980·04·15 - LottaContinua • Ardiccioni·L • Il medico, il carabiniere e il vicino di casa

Il medico, il carabiniere e il vicino di casa


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lettera a lotta continua
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di Luciano Ardiccioni
Lotta Continua — 15/04/1980 (martedì 15 aprile 1980), p. 7


[A·1]• ±
Quella che segue è la richiesta di una risposta da parte di M. Fagioli — e prima o piuttosto da parte di quei compagni e amici che seguono le sue terapie seminariali. Come può un medico rifiutare in maniera aprioristica, e quindi adialettica, il malato e la malattia che spesso, nel caso specifico, non ha nemmeno diagnosticato («la diagnosi della malattia mentale la fa il carabiniere e il poliziotto — o il vicino di casa» — così ha detto M.F.)?

Caro Massimo, ho avuto la sventura in gioventù di incontrare una donna assai bella. A me parve bellissima appena la vidi. La corteggiai per una intera serata in casa di amici dove entrambi eravamo stati invitati ad una festa. Poco dopo la mezzanotte la mia bellissima cenerentola, adducendo il motivo che era stanca, se ne andò. Non mi ci volle molto a trovare una scusa per andarmene pochi minuti dopo. Avevo bevuto molto e le strade e stradine del centro, deserte, se si fa eccezione per qualche puttana, molli di pioggia, si trasformarono per me in uno di quei labirinti che mi ricordo di aver visto in un istituto di psicologia — un milione di anni fa — e che servivano per certi esperimenti sui topi: sull’istinto, la memoria, gli stimoli, ecc.

Dentro quei vicoli mi muovevo con una certa sicurezza. Guidato da un desiderio forsennato e dalla certezza che un desiderio pressoché analogo mi calamitava verso il suo soddisfacimento. Era una sensazione dolce, rafforzata dall’alcool. E il mio corpo era in subbuglio. Penso che tu intenda cosa voglio dire. Aveva delle labbra bellissime: gliele avevo guardate a lungo e mentre le guardavo cresceva il desiderio di baciarle. Poi, quando se ne è andata, ha salutato tutti baciandoci: quando ho sentito le sue labbra sfiorare le mie non ci ho visto letteralmente più. Eppure era la prima volta che la vedevo.

[A·4]• ~
La luce gialla dei lampioni ha messo in evidenza una silhouette di donna, vicino al duomo, quando ormai stavo per rinunciare e mi accingevo ad uscire dal labirinto per una strada laterale che conosco molto bene. Era lei. Ovviamente. Dovevo dirglielo che era bellissima. Ce l’avevo dentro da qualche ora, ormai. Appena ci siamo avvicinati mi ha succhiato le parole dal cuore in un bacio, che, caro Massimo, ti auguro di provare qualche volta. Se fossi un poeta invece che un impiegato statale forse potrei tentare di descrivere i liquidi infuocati che mi scendevano e salivano per il corpo, mescolandosi nelle labbra incollate alle sue ad un fresco sapore di mentuccia prealpina che fluiva dal suo respiro.

E non finì con quel bacio. Come è facile intendere. Quell’incontro ha segnato in maniera indelebile la mia vita.

Sono passati tantissimi anni e l’altra mattina, quando ti ho sentito parlare nell’aula magna del magistero a Firenze, tra le tante cose che hai detto una mi ha fatto sobbalzare. All’improvviso mi è crollata l’immagine che mi ero fatto di te. Quella di medico e di scienziato, di terapeuta e di ricercatore, di critico duro, caustico, ma costruttivo. Ammiravo la sicurezza e le argomentazioni con cui davi del cretino a Freud e di marionetta a W. Reich. E la passione delle testimonianze di chi segue i tuoi seminari ti arricchivano ai miei occhi di un calore umano, di una sensitività non usuali. Togliere la follia che è in ognuno di noi, ripulire la nostra mente dal nostro io infetto e restituirla alla dolcezza dell’inconscio mare calmo. Rinascere alla vita. E rinascere in maniera diecimila volte più bella perché questa volta siamo noi gestante e feto ad un tempo. E tu la levatrice. Rinascere con la coscienza di nascere. E di nascere sani. In questa guerra contro il male ti vedevo in prima linea, troppo e troppo astiosamente attaccato da troppi per non capire che dietro le critiche si celano gli interessi privati delle cosche del potere, la lesa maestà dei sacerdoti di una falsa democrazia che in realtà è democraticismo volgare.

[A·7]• ~?
Poi quella tua frase che è rimbombata nell’aula, resa stridula dagli amplificatori, catturata da decine di magnetofoni: «Io a scopare con una sifilidica [sic!] non ci vado perché me l’attacca. Poveraccia, non è mica colpa sua se si è presa la sifilide, ma io non ci posso andare perché sarebbe un suicidio: bisogna che faccia una dialettica con la donna sifilidica: che prima si curi, poi ci andrò a scopare».

Ebbene, Massimo, la donna di cui ti ho parlato all’inizio era sifilidica.

[A·9]• ~?
Non lo seppi subito. Passò qualche mese in cui la nostra [relazione fu caratte-]rizzata dai toni alti di tutte le [re-]lazioni all’inizio. E quindi faccio a meno di descriverteli. Poi dopo qualche tempo cominciai a provare delle sensazioni strane: camminavo a piedi nudi sul marmo freddo del pavimento della camera dopo aver fatto all’amore e mi pareva di camminare sul velluto; mi bruciavo la pelle delle dita cercando di spegnere al buio mozziconi di sigaretta e sentivo solo una leggera puntura di spillo. Attribuii sulle prime questi sintomi alla grandezza straordinaria del nostro amore. Poi un medico mi disse che era sifilide. L’avrei ammazzata quella donna. Andai a casa sua furibondo. Le sue labbra di velluto succhiarono la mia rabbia; i suoi occhi mi ritrascinarono di colpo nel mare in tempesta della nostra relazione amorosa.

Ci curammo per sei mesi in maniera intensiva con la penicillina. E poi ancora per due anni e mezzo. Oggi sono contento di non averle chiesto prima, quella sera, se aveva la sifilide; sono contento di avere avuto con lei l’unico rapporto dialettico possibile: non essere scappato. Stiamo ancora bene insieme.

Ti ho raccontato questa storia per dirti che mi sembra ti manchi qualcosa per essere davvero uno scienziato: ti manca la passione che può trascinarti, con gli occhi zampillanti di gioia, tra le braccia della donna sifilidica, del malato, dell’omosessuale (se ti tira ovviamente: non certo per morale) senza paura di appestarti. Hai parlato tanto di pestilenze, di epidemie, l’altra mattina a Firenze: è un esempio che come medico ti sta a cuore. Eppure dovresti sapere quanto è illusorio presumere di curare la peste standone fuori, per paura del contagio.

Spero di poterti ascoltare nuovamente e più a lungo perché forse ho capito male.
Luciano Ardiccioni


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Questa lettera di Luciano Ardiccioni permette di meglio comprendere alcuni passi della risposta di Massimo Fagioli pubblicata, sempre da “Lotta Continua”, il 24/4/1980 col titolo ‹Ragazzino donne e sifilide› (qui); nella sua risposta Fagioli fa anche riferimento a un’altra lettera – di Emanuele M. – che il giornale sceglie di abbinare alla lettera di Ardiccioni, e il testo della quale è accessibile qui.


[A·1]• Nel testo originario: «Quella che segue è la richiesta di una risposta da parte di M. Fagioli […]», per la differenza di linguaggio e di tono, questo cpv. iniziale – pur non essendo evidenziato né tipograficamente differenziato dai successivi – si direbbe un’aggiunta da parte della redazione del quotidiano; in tal caso, la lettera vera e propria di Luciano Ardiccioni inizierebbe dal cpv. successivo, che infatti comincia con le parole “Caro Massimo, …”.

[A·4]• Nel testo originario: «La luce gialla dei lampioni ha messo in evidenza una silouhette [sic!] di donna […]», un refuso ha spostato la ‘h’ nella grafia della parola francese ‹silhouette›; stranamente lo stesso refuso si trova identico nella risposta di Fagioli; allora forse non è un refuso; corretto.

[A·7]• Nel testo originario: «Io a scopare con una sifilidica [sic!] non ci vado perché me l’attacca», l’ortografia vorrebbe “sifilitica”, ma non è un refuso perché la stessa grafia si ripete a più riprese nel séguito; probabilmente la ‘d’ è dovuta all’attrazione esercitata dal sostantivo “sifilide”; marchiamo quest’occorrenza con [sic!] – per evidenziare che non è un errore di trascrizione – ma ci asteniamo dal segnalare le occorrenze successive.

[A·9]• Nel testo originario: «Passò qualche mese in cui la nostra [relazioni all’inizio. E quindi fac-] rizzata dai toni alti di tutte le […]lazioni [sic!] all’inizio. E quindi faccio a meno di descriverteli», il cpv. è viziato dalla ripetizione di una riga di testo (quella evidenziata tra le prime parentesi quadre), che ha causato la perdita della riga originaria; manca inoltre la prima sillaba di “relazioni”; integriamo il testo mancante cercando di salvaguardare il senso, ed evidenziando tra parentesi quadre le integrazioni.

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[] http://www.associazioneamorepsiche.org/wp-content/uploads/1980/04/80-04-15-LOTC.pdf
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