Ragazzino donne e sifilide
✩ (Arkbase)
lettera a lotta continua
di Massimo Fagioli
Lotta Continua — 24/4/1980 (giovedì 24 aprile 1980), p. 7.
Caro Luciano,
ho avuto la ventura, da ragazzino, di incontrare una donna assai brutta. A me parve bruttissima appena la vidi. Ho sempre bevuto molto, da tutti, le strade e le stradine percorse, deserte, salvo le molte puttane, molli di pioggia si trasformarono per me in uno di quei labirinti che fanno ogni istituto di psicologia, da un milione di anni, che servono per certi esperimenti sugli uomini: sull’istinto animale, la ripetizione, la rassegnazione, la passività.
Dentro quei vicoli mi muovevo con pochissima sicurezza, dapprima, che diventava, poi, sempre maggiore. Guidato da un desiderio forsennato e dalla certezza che le cose non potevano essere in quel modo. Era una sensazione dolorosa aumentata dalla mia nebbia di allora. E il mio corpo era in subbuglio. Penso che tu intenda cosa voglio dire. Quella donna, la realtà psichica umana, le cui labbra bellissime nascondevano spesso, troppo spesso i denti guasti dell’invidia e della rabbia.
Ne cercai di donne, anch’io avevo bisogno di quella sana che curasse la mia sifilide, il mio desiderio cieco, la negazione della realtà psichica umana.
Ebbene, Luciano, tutte erano sifilitiche come me, più di me, e quando lo erano meno di me succhiavo avidamente fino ad ubriacarmi.
Non lo seppi subito. Passarono anni in cui provavo sensazioni strane: camminavo a piedi nudi sul marmo freddo del pavimento della camera dopo aver fatto l’amore e mi pareva di camminare sul velluto, mi bruciavo la pelle delle dita cercando di spegnere al buio mozziconi di sigaretta e sentivo solo una leggera puntura di spillo. Attribuivo sulle prime questi sintomi alla grandezza straordinaria del mio amore.
Era la pulsione di annullamento e di negazione dell’inconscio mare calmo: quella latente, quella invisibile come le spirochete ma terribile, mortale.
•[A·7]• ~
La luce gialla dei lampioni metteva in evidenza silhouettes di donne, vicino al duomo, sottomesse al duomo, accecate dal duomo, quando, tante volte, ormai stavo per rinunciare mi accingevo ad uscire dal labirinto per una strada laterale che tutti conosciamo molto bene: l’indifferenza. Tante volte l’avrei ammazzate quelle donne. Tornavo in me furibondo. Ma poi le loro labbra di velluto succhiavano la mia rabbia; i loro occhi mi ritrascinavano di colpo nel mare di tempesta della nostra relazione amorosa.
Mi curai per sei anni in maniera intensiva con la mia ricerca, per resistere, non soccombere, non impazzire. Poi ancora per altri venti anni. Studiai. Avevo scoperto che non c’era nessun medico che potesse dire che non era amore, era negazione: Non c’era nessun medico che avesse la penicillina.
•[A·9]• ~
Ovviamente. Dovevo dire che gli esseri umani sono bellissimi. Ce l’avevo dentro da tanti anni. Ogni volta che mi avvicinavo ognuno mi succhiava le parole dal cuore con dei baci che, caro Luciano, ti auguro di non provare mai. Se fossi un poeta invece che uno psichiatra forse potrei tentare di descrivere i liquidi infuocati che mi scendevano e salivano per il corpo, mescolandosi alle labbra incollate a quelle degli altri, ad un fresco sapore di mentuccia prealpina che fluisce dal respiro degli altri.
•[A·10]• ~
Quell’incontro ha segnato in maniera indelebile la mia vita. Sono passati tantissimi anni ed ora tu mi chiedi una risposta. Perché sono diventato medico, scienziato, terapeuta, ricercatore, critico duro, caustico, ma costruttivo.
•[A·11]• ~
Perché ogni volta, sempre, quando baciavo come te, le labbra delle donne, sentivo sempre la domanda continua, neppure sussurrata, senza suoni materiali: «toglimi la follia, che è dentro di me, ripulisci la mia mente dal mio io infetto e restituiscimi la dolcezza dell’inconscio mare calmo con cui sono nata. Fammi rinascere in maniera diecimila volte più bella perché questa volta, tu ed io, siamo gestante e feto ad un tempo. Ma tu devi essere anche levatrice. Fammi rinascere con la coscienza di nascere. E di nascere sana.
Ed io, te lo confesso, qualche volta, tante volte forse, ho tentato di non ascoltare. Ma non ci sono riuscito. Non sono riuscito ad accecarmi per non vedere quello che c’era al di là delle labbra bellissime, al di là della rabbia dei denti guasti.
•[A·13]• ~
La domanda degli occhi. Tu l’avrai notato che, talvolta, gli occhi, nel bacio rimangono aperti e hanno un non so che di vuoto. E dietro al vuoto ancora c’è la domanda appassionata, invisibile; c’è l’ordine, il comando, il Potere giusto al quale bisogna sottomettersi. «Se tu puoi ‹devi› guarirmi della follia che è dentro di me».
•[A·14]• ~
Allora ti succhiano le parole dal cuore, in un bacio continuo che, caro Luciano, non ti auguro di provare. Perché ti dànno tutto quello che hanno, ma ti chiedono tanto, tutto quello che hai, e tutto quello che puoi fare nella vita. Ti chiedono anche di essere duro, sempre critico, caustico, di pretendere sempre di più e di meglio. Allora devi rinunciare a far l’amore; perché mentre ti dicono ti amo, ti dicono «non fare l’amore con me, non ingannarti, perché io sono sifilitica. Non permettere che la mia malattia uccida entrambi».
Perché la gente vuole vivere, anche se è malata. E ciascuno di noi chiede all’altro, sempre, un po’ di vita.
Oggi sono contento di non aver chiesto mai a nessuno se era malato: sono contento di aver avuto con gli altri l’unico rapporto dialettico possibile: non essere scappato. Stiamo ancora bene insieme, con gli altri, più di quando non c’era la penicillina.
Non ti dico cosa manca a te: non lo so. Hai scritto una bellissima lettera, te l’ho quasi interamente copiata. Per immergermi nel rapporto anche se non tutto è uguale. È così: «…liquidi infuocati in ogni rapporto interumano che scendono e salgono per il corpo, mescolandosi nelle labbra incollate dell’uno e dell’altro ad un fresco sapore di mentuccia che fluisce dal respiro di ognuno».
•[A·18]• ±
Ma, poi, ecco il medico-scienziato e, se vuoi, il politico. Necessario per non morire. Non con tutti. C’è gente per «razza» più sensibile, più vera artista, più grande genio, amanti più abili, battoni più puri, sensibilità maggiore, anima più bella. Una «razza» ariana di cui tu, dal momento che dici di non essere più tanto giovane, dovresti ricordarti, e ricordandoti, accorgerti che è accanto a te, nella stessa pagina.
Vedi, quando si vuole fare scienza le distrazioni sono mortali. Ecco, forse ti manca questo per essere scienziato: l’attenzione per il latente. O forse un po’ di metodo politico. Il latente uccide e la gente non vuole morire, non vuole che tu muoia perché ognuno di noi serve agli altri per vivere. Il democraticismo volgare non serve: fa morire quanto la repressione del potere.
Tu hai amato una donna, io più di una. Forse occorre questo per essere scienziato: prendere la sifilide da più di una donna, lasciarsi andare ogni volta senza fare lo scienziato. Poi ti costringono ad esserlo. Perché sono tutte diverse, bellissime, ti dànno la vita e la gioia di vivere ma sono tutte uguali nella sofferenza, nell’angoscia, nel vuoto della mente.
Spero di ascoltare sempre più frequentemente gente come te, gente che ha affrontato in proprio, sulla propria pelle il rapporto con gli altri e si è curata. Ora sei sano ma… se non ci fosse stato Fleming? Te lo devo ricordare io il disfacimento luetico, la pazzia luetica, i figli scemi luetici? Nessuna gratitudine ma… una rosa gliela vuoi mandare a Fleming?
Massimo Fagioli
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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Questa lettera di Massimo Fagioli risponde a una lettera del filosofo Luciano Ardiccioni pubblicata, sempre da “Lotta Continua”, il 15/4/1980 col titolo ‹Il medico, il carabiniere e il vicino di casa›, lettera il cui testo è accessibile qui.
Per un approfondimento, invece, sull’immagine scelta dal quotidiano per accompagnare il testo della lettera di Fagioli, si veda una delle nostre “annotazioni”, qui.
•[A·7]• Nel testo originario: «La luce gialla dei lampioni metteva in evidenza silouhettes [sic!] di donne […]», un refuso ha spostato la ‘h’ nella grafia della parola francese ‹silhouettes›; corretto.
NOTA: la stessa grafia ‹silouhette› si trova però anche nella lettera di Ardiccioni, per cui forse non è propriamente un refuso.
•IBID.• Nel testo originario: «Ma poi le loro labbra di velluto suchiavano [sic!] la mia rabbia […]», per un refuso è stata omessa una delle ‘c’ in “succhiavano”; corretto.
•[A·9]• Nel testo originario: «[…] mescolandosi […] ad un fresco sapere [sic!] di mentuccia prealpina […]», a tutta prima potrebbe sembrare un refuso che abbia alterato la grafia della parola “sapore”, ma, leggendo le parole finali del cpv. «… che fluisce dal respiro degli altri», viene il dubbio che possa essere un “sapere” nel senso di avere il gusto – o l’odore – di; tuttavia, nella lettera di Ardiccioni cui Fagioli risponde, si trova esattamente la stessa espressione, e la grafia è “sapore”, per cui propendiamo per il refuso; corretto.
NOTA: del resto, è “sapore” anche poco oltre, nel cpv. 17, dove fagioli riprende ancora una volta l’espressione di Ardiccioni.
•[A·10]• Nel testo originario: «[…] ha segnato in maniera indelebile la mia vita. [sic!] sono passati tantissimi anni […]», o il punto è una virgola, oppure “sono” dev’essere con l’iniziale maiuscola; correggiamo facendo nostra la 2ª ipotesi.
•[A·11]• Nel testo originario: «Ma tu devi esere [sic!] anche levatrice», per un refuso è omessa una delle ‘s’ in “essere”; corretto.
•[A·13]• Nel testo originario: «[…] il Potere giusto al quale bisogna sottemettersi [sic!]», un refuso ha alterato la grafia della parola “sottomettersi”; corretto.
•[A·14]• Nel testo originario: «Ti chiedono anche di essere duro, sempre critico, caustico,, [sic!] […]», un refuso ha raddoppiato la virgola; corretto.
•[A·18]• «C’è gente per “razza” più sensibile, più vera artista, più grande genio, amanti più abili, battoni più puri, sensibilità maggiore, anima più bella. Una “razza” ariana […]», il riferimento è alla lettera di Emanuele M., pubblicata da “Lotta Continua” a seguire quella di Ardiccioni; lettera nella quale, verso la fine, si trova il seguente passo:
Il testo completo di questa lettera è consultabile qui.Io tra i froci ho conosciuto le persone più sensibili, i più veri artisti, i più grandi geni, gli amanti più abili, i battoni più puri di dentro, che gay significa diversità, arte, genio.E se realmente c’è una differenza tra gli etero e i froci, è perché questi ultimi hanno una sensibilità maggiore, una anima più bella.
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[] https://associazioneamorepsiche.org/stampa/ragazzino-donne-e-sifilide-di-massimo-fagioli-lotta-continua-24-4-1980/
[] http://www.associazioneamorepsiche.org/wp-content/uploads/1980/04/80-04-24_LOTC.pdf
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